Atoms for Peace
Amok
Instabilità poliritmiche, istintuali e artificiali; collante la voce di Yorke nelle traiettorie frastagliate e stratificate, a sopraelevarsi nel caos elettronico e non di Amok. Uno strano gioco, anche folle e psicotico, di precaria sincronia e coordinazione; lesordio degli Atoms for Peace è improvvisazione e decostruzione gestaltista in vesti 2.0; alchimia distorta di forme bizzarre. Comunque riconoscibili.
La mancanza di fiducia nel futuro dei Radiohead (come sottolineava, sulle pagine di un Rolling Stone datato luglio 2006, David Fricke) spinse Thom Yorke a comporre The Eraser; ossia, a distanziarsi dal gruppo e dalle comodità quotidiane di Oxford (lanno di pausa dopo il tour di Hail to the Thief, sotto molti aspetti esperienza logorante). A guardare internamente (e idiosincraticamente, con filtro politico) oltre, su laptop, nel vuoto contrattuale con la EMI. Soprattutto: scovare nuove idee, riabbracciare vecchi stimoli.
Lo stesso discorso, oggi, non possiede ovviamente la stessa portata; uno: i Radiohead del 2013 riemergono trionfanti da un tour (scenograficamente all'avanguardia, imponente), quello appena terminato (la tragedia di Toronto, ad ogni modo, è qualcosa che pesa ancora come un macigno) che, dichiarazione recentissima di Colin Greenwood a BBC 6, ha posto nello stato danimo ideale la band per fissare linizio dei lavori post The King of Limbs - settembre.
Due: sembrano lontani gli anni di puro escapismo; e quindi nessun autoconfinamento estetico e concettuale (o, almeno, non ai livelli dell'esordio) nel generare il progetto Atoms for Peace. Ché le potenzialità electro del percorso artistico di Yorke avranno nel duemilanove lo snodo cruciale: anno in cui la ricerca non sarà più mero riverbero ad uso esclusivo e solipsistico, bensì potenziale per un progetto dal più ampio respiro.
Sincronia e coordinazione, si diceva: sin dal primo contatto. Sul palco dellEchoplex di Los Angeles, era lottobre di quattro stagioni fa, Flea (Red Hot Chili Peppers), Joey Waronker, Mauro Refosco, (il produttore dei Radiohead) Nigel Godrich e ovviamente Yorke, eseguirono per la prima volta live i brani di The Eraser. Da lì: altre apparizioni pubbliche del supergruppo, negli States e in Giappone; la decisione di accantonare momentaneamente il progetto solista da parte dellinglese; infine, in cantiere un primo disco del collettivo a nome Atoms for Peace.
Rilasciato in streaming il 18 febbraio (il 25 luscita ufficiale, per XL), Amok svela sin dallopener la sua primaria peculiarità (più volte, nelle varie interviste, messa in evidenza dagli autori): il ritmo. Frastagliatissimo, in uno strano contrasto etnico e artificiale, come nel caso, appunto, di Before Your Very Eyes (pulsione afrobeat, baratro catartico squarciato dalla voce di Yorke; e poi lingresso del synth, su frequenze rave alterate, ad espandere il tiro del groove - con un finale da oscillazione completa del campo percettivo).
Ritmo, quello strutturato dal brasiliano Refosco e da Waronker (già con Beck e gli R.E.M.), anche sincopato e tribale: in Judge, Jury and Executioner Flea innesta un basso melodico, pervasivo, entro cui armonie vocali si fanno spettri sovrapposti ad una chitarra acustica (finalmente) in evidenza. Linterpretazione di Yorke è eccellente, benché tocchi il suo ideale apice in Ingenue. Qui, trova una linea da brividi, modulata con trasporto emotivo, sopra un tappeto di ritmiche glitch e pioggia liquida - con una tastierina, rave e sfatta, ad affacciarsi ciclicamente.
Pensato quasi completamente in senso elettronico (dallo stesso Yorke), arrangiato con criterio jazz e afrobeat (Godrich scomoderà addirittura il Miles Davis di "In a Silent Way"; l'ascolto intensivo di Fela Kuti) , ed eseguito non solo su macchine (Yorke: "One of the things we were most excited about was ending up with a record where you weren't quite sure where the human starts and the machine ends."), "Amok" rispetto a "The Eraser" non deforma/frattura semplicemente i samples, i beat e il rumore in senso pop, ma infittisce verticalmente il sound in strati di textures corpose ed estremamente varie - estasi dimprovvisazione.
Il perno di Reverse Running è un giro funky così minimo che nemmeno in coda, nel momento in cui pare invero anestetizzarsi, perde in sostanza (peraltro: il momentaneo, ottimo cambio di veste a metà brano, riporta indietro ai tempi di Amnesiac; il finale è delirio acido). Nelle dinamiche iperattive e irresistibili (l'inizio, irregolare in senso step) di Default si corre folli, tra suspanse di echi sinistri, schermi di tastiere, tra una galleggiante o in alternanza (nel refrain) incisa variazione del falsetto di Yorke. Dropped un po a vuoto nella sua iniziale struttura ricorsiva, onestamente non certamente nei momenti di saturazione arty, e dagli spazi solcati da un basso profondo e groovy. Basso su una linea distorta (ed esaltante) in Unless (pioggia di tastiere e frammenti ritmici), (forzatamente) reiterata invece in Stuck Togheter Pieces su movenze tribal, miscelate a ricami minimi di chitarra e scie di techno nordica che riappaiono e svaporano in coda. Amok, a chiudere, è tante cose (o meglio niente): strato minimal techno, rintocchi anche gelidi, ora scintillanti di synth, rarefazione atmosferica e delle armonie; saturazione e fisicità, in crescendo.
Un disco che, ovvio, spaccherà pubblico e critica, questo "Amok". Esercizio di stile a più voci, sophomore solista di Yorke, inconcludente e un po' presuntuosa jam session; per chi scrive: in un certo senso sì, ma anche molto più di un semplice progetto parallelo.
Così, decisamente buona la 'prima'.
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