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R Recensione

6,5/10

Gigan

Multi-Dimensional Fractal Sorcery And Super Science

Da chitarrista, odio i chitarristi: o, meglio, il loro (volontario? involontario? inevitabile?) stare al centro dell'attenzione. Non capisco secondo quale astrusa legge della probabilità le costruzioni melodiche e solistiche del loro strumento, nel corso dei decenni, si sarebbero proclamate più importanti o apprezzabili di altre. Detesto quando l'abilità tecnica si sostituisce al contenuto e la giocoleria alla passione. Temo, sopra ogni cosa, l'infinita sfilza di biografie fiume, dove il chitarrista di turno – imboccato a dovere, bisogna ammettere – si sente investito di informare il malcapitato lettore sulla sterminata lista di influenze artistiche che hanno determinato la propria figura di performer a tutto tondo. Un bel chissenefrega, ebbe modo di sentenziare qualcuno tempo fa, non fu mai scritto. Le orecchie, per ascoltare, le abbiamo tutti. Oggetti massicci non identificabili come Eric Hersemann, certamente, attirano l'attenzione di chi specula sulla categoria e, se è cortesia rispondere a domanda, non per questo un'intervista o una chiacchierata possono rimpiazzare la prova, esaltante, dell'ascolto. “Cosmic Triangular Communications” conferma come fantasia ed imprevedibilità non siano ancora beni privatizzabili e rivendibili al miglior offerente: su un contagioso groove psych-funk sgozzato da formule ritmiche brutal death va in scena l'atto primo, ed unico, dell'arpeggio geometrico che più geometrico non si può, triangolazioni chitarristiche math-core à la Cephalic Carnage di complessità e precisione sbalorditive, che si incastrano con facilità disarmante e fanno ammattire solo a cercare di misurarle.

Non ascolterei mai, per principio, un disco traducibile come “Sortilegio frattale a più dimensioni e super scienza” (?). Mai, se non sapessi in partenza chi sono i Gigan, quale la loro storia fino a questo momento, quanta la loro importanza nel ridefinire l'estetica ed i limiti del metal estremo. Il terzo capitolo dell'epopea del power trio statunitense, primo con Eston Browne alla voce e Nate Cotton alla batteria, si colora maggiormente, per quanto possibile, di nuove sfumature. Il brutal death non può certo definirsi musica di concezione ed approccio semplice, specie se – come in questo caso, ma potremmo citare ugualmente Ulcerate, Gorguts, Krallice, Portal, per non tornare indietro nel tempo fino ai Nile – non ci si accontenta di procedere dritti, lungo un'autostrada di fisicità distruttiva e a tratti stancante ma, al contrario, si cerca l'evocazione ed il coinvolgimento di fattori terzi, per il genere immensamente audaci. Per il precedente capitolo, “Quasi-Hallucinogenic Sonic Landscapes”, si parlava della tensione alla creazione di una gargantuesca psichedelia heavy, da realizzarsi esclusivamente con lo stordimento di riff e passaggi ambientali deprivati di effetti: un trip, insomma, che più concreto non si può. “Multi-Dimensional Fractal Sorcery And Super Science” si inoltra nella sfida, cedendo parte della sua incompromissorietà in favore di un arricchimento ulteriore del suono.

Esultate, voi che desideravate mettervi alla prova, ma avete dovuto gettare la spugna per manifesta inferiorità: i Gigan, al terzo tentativo, licenziano un lavoro tanto impenetrabile quanto, stringendo, fruibile. Manifesto del disco è “Beneath The Sea Of Tranquility”, nove minuti di metal giunto al sommo gradino evolutivo sapiens sapiens: immaginario sci-fi tra Donald Wandrei e H. P. Lovecraft sposato a pesanti mutazioni space nella prima parte, bestiali raffiche acid-death (con rifferama in palm mute molto vicino a certo prog metal eterodosso, Tool in primis) nella seconda. I frenetici avviluppi impossibili a districarsi, se non dotati di pazienza e di un paio di orecchie ben allenate, emergono nei tapping furibondi e nelle schiume noise di cui si circonda “Mother Of Toads”, la cui compressione estrema viene idealmente controbilanciata dalla linearità della successiva “Obsidian Sun” (melodia portante di chiara derivazione black, brusche accelerate in corso d'opera comprese). Hersemann si diverte ancora ad ancheggiare sulle travi portanti di un funk per cerebrolesi (“Electro-Stimulated Hallucinatory Response”), prima di affondare in sortite doom e virtuosismi thrash, come i Nevermore esasperati e suonati al doppio della velocità.

La chiusura, con “Bio-Engineered Molecular Abnormalities”, gli Hawkwind risuonati dai Voïvod al tempo del down-tuning, implicitamente suggerisce che la saga della reale realtà abbia, oramai, i giorni contati. Se Eric Hersemann dovesse prossimamente esternare un amore sconfinato per John Fahey, insomma, sappiate che qualcosa sta per cambiare...

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