Bushi
The Flawless Avenger
Quasi nessuno lo include nella lista che dovrebbe esaurire le eccellenze dello stakanovismo musicale made in Italy, eppure lattività del polistrumentista Alessandro Vagnoni (che pure ha avuto modo di incrociare i propri destini artistici con almeno due dei summenzionati profili, Nicola Manzan e Bruno Dorella) di recente ha registrato una crescita importante ed esponenziale, con picchi di autentica bulimia nel solo ultimo triennio. Così, dopo lambiziosissimo progetto audiovisivo del (modesto) esordio omonimo di Empty Set (2018), lestemporanea sgambata sintetica sotto il monicker Drovag (s/t in cassetta in 40 copie numerate, 2018) e i nuovi dischi di Angry Nation (Embracing The Collapse, 2018), Ronin (Bruto Minore, 2019) e Bologna Violenta (Bancarotta Morale, 2020) a distanza di tre anni dal first act fa il proprio ritorno sulle scene il progetto più organico e strutturato del Vagnoni bandleader, Bushi, per loccasione con una formazione rinnovata (il bassista Davide Scode si occupa delle vocals che furono di Matteo Sideri, la new entry Fabrizio Baioni delle batterie che nel primo disco erano state coperte dallo stesso Vagnoni) ed ampliata (il prezzemolino Sergio Pomante al sax tenore). Interessante la costruzione concettuale di The Flawless Avenger, evidentemente figlio dellestetica samurai alla stregua del precedente Bushi. Sotto il profilo lirico tutti i testi, nientaltro che aforismi in formato da haiku resi disponibili nella bella graphic novel daccompagnamento realizzata dal disegnatore Francesco Farneselli, sono ispirati ai precetti morali e militari contenuti nellHagakure. Per quanto riguarda le musiche, così come già per il primo capitolo, punto di partenza sono stati i riff composti da Vagnoni sulle sue chitarre (tutte impostate con una curiosa accordatura aperta in sol), su cui si sono successivamente modellati gli interventi degli altri musicisti e il cantato di Scode.
Questa maniacale attenzione al dettaglio, unita ad un sincero anelito verso lapertura di nuove ed inconsuete possibilità espressive fornite da combinazioni strumentali non ortogonali, produce un disco complessivamente di molto superiore al suo predecessore, anche se certo non scevro da difetti. Laspetto più affascinante e al contempo selettivo della scrittura di The Flawless Avenger risiede, forse, nel modo in cui vengono proposti e costruiti gli spunti melodici dei brani: si tratta il più delle volte di schizzi, bozzetti, singole idee isolate dal loro contesto di origine e immediatamente ridimensionate da repentini cambi di mood e tempo, dal sopraggiungere di nuove e diverse inquadrature. Questa perenne evasività evidente sin dallondivago collage zappiano in cui viene ritagliato il roboante fraseggio di Masters Of The Swords [I, 45] rende i contorni delle composizioni sfuggenti e difficilmente delimitabili con precisione: è un autentico slancio epico à la YOURCODENAMEIS:MILO quello che trascina To Sleep Is The Best Answer [II, 85] o, più semplicemente, è una fase di transizione verso le contorsioni crossover a due velocità della successiva Chiriku [II, 22] (uno degli episodi più novantiani del lotto)? Ancora, da che pertugio invisibile dellintenso mulinare chitarristico di Bravery [VII, 40] sfugge landatura robotic-funk delle strofe? E non sono forse baluginii Giraffe Tongue Orchestra quelli che, come gamma ray bursts, esplodono sullorizzonte degli eventi jazzcore di Dont Stop Where Your Heart Does [XI, 145] (ottimo Pomante)?
Una risposta univoca, gira e rigira, non cè. La sensazione, a pelle, è che le composizioni di The Flawless Avengers suonino spesso come ibridi impossibili generati in vitro, scale escheriane frutto di un calcolo spinto oltre ogni limite che, se da un lato suscita ammirazione cerebrale, dallaltro lascia spesso tiepidi in superficie (esempio massimo, la dissonante epica j-prog di Revelation On Top Of A Brick Wall [III, 28]). A destare perplessità sono soprattutto le linee vocali che, a maggior ragione nei loro ammiccamenti più esplicitamente rock (ad esempio, larmatura grunge in cui si corazza lipervitaminizzata decalcomania tardo crossover di On The Verge Of Happiness [X, 127]), sembrano sempre giocare un campionato a parte, mai veramente amalgamate con limpianto strumentale: si tratta con ogni probabilità di una scelta ponderata, ma i risultati non sono quelli sperati. Lascolto procede allora con più fatica del dovuto, trovando requie solo nel minaccioso crescendo cullato sino a lambire il punto di rottura, che tuttavia non viene scientemente mai superato di Late Night Idle Talk (Nicola Manzan al violino).
I miglioramenti rispetto a Bushi sono esponenziali, ma buona parte delle potenzialità del progetto sono rimaste ancora inespresse. Si tratta di unincompiuta destinata a rimanere tale, o il tassello conclusivo della prima triade hegeliana potrebbe fornire qualche risposta determinante al riguardo?
Tweet