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R Recensione

6,5/10

Motorpsycho

Begynnelser

Se si vogliono le rose, si devono accettare anche le spine. La trentennale carriera dei Motorpsycho, pur invidiabile per tenuta e qualità, è un ciottolato lastricato di fiori che, negli interstizi della pavimentazione, vede affiorare aculei puntuti. Quello che occupa la seconda metà del 2016 è un periodo particolarmente delicato per la creatura di Bent Sæther e Hans Magnus “Snah” Ryan che, alla fine del breve tour europeo in supporto a “Here Be Monsters”, si trovano alle prese con l’agrodolce defezione di Kenneth Kapstad, la poliedrica macchina ritmica capace di inquadrare, in una magmatica ed espansa forma prog, l’ultimo decennio di spunti e visioni sonori dei centauri di Trondheim. Di gran rifiuto (sebbene non per viltade) ve n’era già stato un altro, nel 2005, quello dello storico batterista Håkon Gebhardt: gli psychonauts, l’anno successivo, metabolizzarono la ferita in gran stile, a loro modo, autoproducendosi dal nulla un doppio esuberante – e non sempre impeccabile –, “Black Holes / Blank Canvas”, in cui i vuoti lasciati da Gebhardt vennero riempiti da Sæther (in studio) e dal volonteroso Jacco von Rooij (live). Si trattava solamente dell’inizio di una nuova, esaltante fase, che nell’arco del decennio successivo avrebbe maturato frutti di assoluta eccellenza (“Little Lucid Moments” del 2008, “Behind The Sun” del 2014 per dirne un paio).

Internet ci permette di sapere ormai da tempo come il problema abbia trovato la sua soluzione: l’approdo a corte di un batterista non meno che mostruoso (quel Tomas Järmyr già in forza agli Zu 3.0), qualche prova di riscaldamento, circa due settimane di registrazioni e post-produzione in quel di L.A., un nuovo doppio disco (“The Tower”) in uscita l’8 settembre, l’immancabile tour a seguito che sbarcherà anche in Italia a novembre (quattro le date totali, ma c’è già la possibilità di farsi la bocca tra un paio di settimane al 2Days Prog + 1 di Veruno, Novara). Oggi, tuttavia, parleremo di altro – più precisamente, dei mesi di apparente stasi che separano la fine del rapporto con Kapstad dall’inizio di quello con Järmyr. Come chi ci legge sa ormai bene, negli ultimi anni, accanto alla produzione per così dire “canonica”, la vena dei Motorpsycho ha avuto modo di esprimersi anche su di un altro livello: quello degli one shot only, eventi speciali spesso commissionati da enti esterni per occasioni particolari e catturati su formati in edizione limitata. Esempi illustri sono “The Death Defying Unicorn – A Fanciful And Fairly Fair-Out Musical Fable” (2012), “En Konsert For Folk Flest” (2015) e, ibrido curioso, lo stesso “Here Be Monsters”, concepito inizialmente per festeggiare il centenario di attività del Norwegian Technical Museum. Si trattava per la maggior parte di dischi scritti a quattro mani con l’amico di sempre Ståle Storløkken, inglobato in una formazione eccezionalmente allargata anche ad altri ospiti (la Trondheim Jazz Orchestra, gli Sheriffs Of Nothingness, il Kammerkoret Aurum…).

Sin dalla genesi, invece, “Begynnelser” è storia a sé. L’eloquente titolo (“Inizi”…) fa riferimento ad una pièce teatrale scritta da Carl Frode Tiller e portata in scena dal collettivo De Utvalgte in trentotto performance tenutesi, dal 2 settembre al 15 ottobre 2016, al Trøndelag Teater di Trondheim. Ogni serata, per tutto il tempo dello spettacolo (oltre due ore), Sæther e Snah hanno suonato dal vivo la soundtrack, giustapponendo la pura improvvisazione a momenti che, col passare del tempo, hanno acquisito carattere di composizione a tutto tondo. Nei mesi successivi, a partire dall’immensa mole di materiale registrato, è stato realizzato un certosino lavoro di cut’n’paste in studio, che ha donato forma e linearità ai brani come li si può ascoltare nella tracklist data. “Begynnelser” (due 10” in vinile, corredati da cd e dal dvd della performance) si propone pertanto come un curioso esperimento: ricreare a tavolino, scombinando a latere le carte, la forza e la brillantezza dell’improvvisazione originale.

La musica non può che adeguarsi di conseguenza. Si tratta perlopiù di bozzetti, canzoni e motivi spesso appena accennati, schizzi di non facile decodifica al di fuori del loro contesto di fruizione (non siamo riusciti a visionare il dvd). Il diapason stilistico del duo si allarga a dismisura, includendo carezze prog-folk di levità assoluta (chitarra acustica e mellotron all’opera su “Terje’s Sang (Bøla I)” e “Terje’s Sang (Bøla II)”, fugace reprise di fine giochi), frammenti di fumoso e lamentoso cabaret (come nel paso doble klezmer di “Jaques Tati (Kongensgate)” o le spirali jazz-noir da cinema muto di “Dekdektiven Røker Om Natten (Figga)”), spasmi tensivi per assordanti droni orchestrali (una “Satan (Namdalen)” che quasi richiama l’omonima suite di “Demon Box”, il gioco di sovrapposizioni tenorili di “Sirkelpust (Jørstadbrua)”), drammatici landscapes ambient (“Tåke På Fjorden / Rinnan Kjæm (Sør-Beistad)”), segmenti di amniotica distensione dall’umore quasi library (sentirsi il trillante vibrafono di “Trylleball (Sannan)” per credere) e più ambiziose odissee minimal-rumoristiche che non sempre centrano il bersaglio (è il caso, soprattutto, dei sette minuti e mezzo di “Over Nyhavna (Falstadvalsen)”).

Sebbene inficiato dalla mancanza di confronto col supporto visivo, il nudo ascolto è sicuramente stimolante, in primis per i neofiti, e non si piega affatto a facili paragoni con il repertorio storico dei Motorpsycho, anche nelle sue pieghe più deviazioniste (i flanger che si insinuano nella melodia trattenuta del pianoforte di “Gutan I Skogen (Sol På Sunnan)”, tra Mogwai e Dinosaur Jr., sono forse l’episodio più familiare). Davvero non male per dei quasi cinquantenni alle prese con gli ennesimi “inizi”…

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