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R Recensione

6,5/10

Ottone Pesante

Brassphemy Set In Stone

L’attacco di “War Ensemble” che si rispecchia in quello di “Brutal”: i complessi sistemi distonici dei Meshuggah di “Destroy. Erase. Improve” in “Pig Iron”; la pesante epicità dei migliori Megadeth nel fraseggio compulsivo di “Redsmith Veins”; inquietudini e struggimenti funeral doom catturati al meglio in “Trombstone”. Un’opera di ludico, irresistibile citazionismo: niente di più, niente di meno. L’accentuata particolarità della proposta degli Ottone Pesante rende difficile formulare un giudizio nel merito. C’è chi, a dispetto di ogni resa, li includerà nella capiente categoria dei freak irredimibili, chi li esalterà a prescindere per il voler suonare metal armati di sola tromba e trombone (come se il proliferare delle mille declinazioni tricolori del jazzcore, in questi decenni, non ci abbia ancora insegnato nulla). Pochi, da una parte e dall’altra, li vedranno per quello che realmente sono: un gruppo coraggioso alle prese con un repertorio dalla limitata (e non sempre agevole) combinabilità.

Con le dovute proporzioni e i doverosi aggiustamenti, “Brassphemy Set In Stone” mi ricorda il first act dei Mombu: qui come allora, al centro del discorso si pone un minimalismo strumentale che si dibatte, furibondo, nell’ansa di poche variazioni su tema, ambendo tuttavia a ricoprire un diapason orchestrale a tutto tondo (basti sentirsi i crash tumefatti di “Torture Machine Tool”). Ogni brano sfrutta al massimo i ristretti margini di improvvisazione jazzistica che fornisce l’atipica formazione a tre, spingendo l’acceleratore a fondo su di un dinamismo ipercinetico e a tratti esacerbato: valga, per tutti, lo stigma infernale di “Apocalips”, in cui Francesco Bucci e Paolo Raineri si sfidano in una torcida all’ultimo respiro, mitragliando di grappoli free jazz una semovente ritmica hardcore. Non si pensi, comunque, a raffinatezze di qualsivoglia sorta: è il tocco rozzo e squadrato di Beppe Mondini (esplosivo sostituto del dimissionario Simone Cavina) ad indirizzare unilateralmente l’umore dei brani. “Bone Crushing” – che costruisce il proprio schema melodico, ancora una volta vagamente slayeriano, a partire da aggiunte di semitoni su accordi fissi – sfodera, nel mezzo, un’oscura fascinazione doom. Persino la descrittiva “Nights Blood”, con il trombone che guarda alla Wedding and Funeral Orchestra di Goran Bregović e la tromba al Miles Davis della soundtrack di Ascenseur Pour L’Échafaud, deve fare i conti con una ritmica incontenibile. Se da un lato suona caratteristico, dall’altro il batterismo di Mondini rimane comunque molto limitato (pesticciate cassa-rullante à la D-beat, impennate di doppia cassa, minimi giochi pieno-vuoto fra crash e pelli) e, in alcuni casi, inadeguato (come in “Melodic Death Mass”, che avrebbe meritato un accompagnamento più vario, o nelle sventagliate di “Copper SulpHate” che, senza preavviso, perdono quota).

La forza dell’omonimo EP d’esordio dell’anno scorso non stava tanto nel suo contenuto, pur assolutamente curioso, quanto nella sua durata contenuta, che massimizzava l’impatto e riduceva al minimo i rischi. “Brassphemy Set In Stone” alza un po’ l’asticella, diversificando i contenuti strumentali, ma la struttura attuale del gruppo non permette di sforare il tetto della mezz’ora senza, al contempo, perdere completamente l’attenzione dell’ascoltatore. È un limite oggettivo di cui, io credo, il trio sia ben consapevole. Il capolavoro dei Mombu era e rimane “Niger”, il disco in cui la pervicace formula del duo sfumava nelle infinite possibilità delle collaborazioni e delle aggiunte esterne. Credendo fermamente nella validità deduttiva dell’analogia, qualcosa mi dice che la prima, fruttuosa fase degli Ottone Pesante si sia già conclusa.

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motek 7/10

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