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R Recensione

6/10

Aidan

Témno [EP]

La voce verbale attica témno indicava l’atto del “tagliare”, del “dividere” (secondariamente, del “sacrificare” o del “ferire”). La radice protoslava *tьmьnъ, etimologicamente legata al (neo)greco skoteinós, indica invece propriamente l’assenza di luce: da qui, si capisce, lo stato che ne deriva, l’oscurità. Riflessi della matrice originaria si colgono, ancora oggi, nelle moderne lingue slave, qualunque sia il ramo di loro appartenenza: fosse solo per curiosità, si confrontino l’aggettivo russo tëmnyj e i sostantivi t’ma e temnota, l’aggettivo ucraino temnyj e il sostantivo t’ma, l’aggettivo serbo-croato taman e il sostantivo tama, l’aggettivo sloveno temen e il sostantivo tema, l’aggettivo polacco ciemny e il sostantivo ciemność, l’aggettivo ceco temný e il sostantivo temnota. Inequivocabile, alla luce (!) di questa comparazione, la semantica sussunta da un titolo come “Témno”: è nel regno dell’invisibile, dello scisso e del recondito che si andrà ad abbeverare la poetica dei “nuovi” Aidan, quartetto padovano scomparso dai nostri radar – colpa di una discontinua attività live e dell’uscita del primo bassista dalla line up – dopo il calligrafico (ma onesto) debutto “The Relation Between Brain And Behaviour” (2013).

La vulgata afferma che senza contrasto tematico e cromatico non c’è possibilità di post metal. Ciononostante l’ascoltatore medio, per accorto che sia, si sarà reso conto della sterilità crescente ed irrefrenabile di simile contrasto: e con esso gli Aidan che, a dispetto del continuo insistere di facciata su yin e yang, hanno scelto di abiurare ad ogni solarità. La sottile foschia drone che apre “Levnad” (termine svedese ambivalente che può indicare parimenti life, la “vita”, e livelihood, la “sussistenza”) è un ronzio perdurante sul quale stridono gli archi sintetici di Michael Pacella, una palpitante e decadente sonatina romantica alla maniera dei Dead Can Dance. “Negazione Dell’Appartenenza / Appartenenza Alla Negazione” è una vera e propria suite, nella quale si possono individuare tre blocchi principali: l’arrembante prima sezione à la Cult Of Luna, la dimensione cripto-jazz degli arpeggi della successiva (l’orecchio di chi sente coglie la lezione dei Lento di “Blackness”, e non è forse un caso che proprio Lorenzo Stecconi si sia occupato del mastering al Triple Sun di Roma), l’indefinitezza materica Ornaments della conclusiva. Peccato per lo scarso amalgama, che fa preferire – e di molto – la più canonica “Il Terzo Escluso”, Pelican for dummies nel riffaggio e Red Sparowes periodo “At The Soundless Dawn” nelle deflagrazioni soniche (ma, come detto, senza alcuna concessione alla luce). Proprio ne “Il Terzo Escluso” – debordando poi nel dark ambient finale di “Ora Puoi Scendere Nella Fossa Assieme Alla Tua Musica” – va ad aggiungersi l’ultimo, fondamentale tassello per la comprensione dell’orizzonte teorico degli Aidan: il sample, tratto dall’adattamento cinematografico di Morte a Venezia di Luchino Visconti (1971), della conversazione fra Tadzio e Gustav von Aschenbach attorno all’origine e ai fini della Bellezza.

Sono scintille di speranza che rifulgono nelle pesanti tenebre di un “Témno” ancora marcatamente dipendente dalle proprie fonti ispiratrici, ma – ne siamo certi – sulla buona strada per affrancarsene.

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