V Video

R Recensione

6,5/10

Karl Marx Was A Broker

Monoscope

Nell’ideale insieme vuoto di intersezione tra Surgical Beat Bros, Fuzz Orchestra, MoRkObOt e Zu agisce, già da qualche anno, il compattissimo power trio pistoiese dei Karl Marx Was A Broker (nome assolutamente fantastico), la ribollente fucina del math rock elettronico più interessante dello Stivale. La frenesia del mercato – a proposito… – non ci ha permesso di affrontare per tempo la questione che, invece, avrebbe meritato ben altro trattamento. Mettiamo le mani avanti per tempo: questo non s’ha da ascriversi a meriti sovrannaturali del gruppo, la cui schizofrenica scrittura a collage (qualitativamente medio-alta, s’intende) non eccelle nel genere e le cui capacità tecniche, pur evidenti, non sovrastano mai il messaggio finale. Sono stati, piuttosto, i rivolgimenti interni alla lineup (comprensiva, a partire dalla rivisitazione di “Alpha To Omega” del 2013, di Stefano Tocci a chitarre e synth) a rendere interessante il loro cammino, breve ma già articolato. Sotto quest’ottica, si può considerare “Monoscope” il primo parto realmente originale dei Karl Marx Was A Broker: primo disco interamente scritto e suonato da zero in assetto a tre elementi.

Mezz’ora è più che sufficiente per definire le coordinate di un disco minimale, fruibilissimo e non certo arabescato come lo si sarebbe immaginato. Nessuna ossessione pan-heavy à la “Carboniferous”, nessuna attrazione verso il polo gravitazionale dell’aritmetica che più aritmetica non si può (dai GueRRRa in avanti, per capirci), nessun istinto sacrificale verso le gemmazioni melodiche, che sono ben tangibili e si susseguono con relativa regolarità. Alla title track bastano un paio di battute per far rientrare l’azzoppamento ritmico e scatenare un baccanale tech-noise infiorettato da un generoso rifferama fuzz-stoner. “Gray” è uno sfregio metallico pesantemente debitrice dell’estetica carpenteriana: la stessa che fa periodicamente capolino qui e lì, come nelle saturazioni iniziali di “Negentropy” (sul finale curiosamente portata a scrutare orizzonti post metal). Sono le progressioni distorte di “Flag” o i Serpe In Seno doomish di “Nord” a ricordarci che gli ascolti dei Karl Marx Was A Broker si sono, con ogni probabilità, formati e fissati negli anni ’90, mentre il carosello di synth capace di mandare a fondo le semplici congiunzioni di accordi in “Es” (con fraseggi ipercinetici suonati in apnea) potrebbe essere qualcosa di più di un mero omaggio ai Faith No More.

Chi non stravede per il circondariato di riferimento potrebbe tranquillamente fare a meno di un lavoro di questo tipo. Noi, che continuiamo a tenere di buon occhio chi coccola certi paradigmi estetici, continueremo ad equalizzare al massimo i bassi sul nostro impianto stereo…

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.