V Video

R Recensione

7/10

David Lynch

Crazy Clown Time

Scorrevo un po’ a casaccio la lista delle uscite del mese nel frustrante tentativo di tenermi aggiornato e sono rimasto colpito da un nome che urlava dalle colonnine neanche fosse stato vergato con un neon. Sulle prime mi sono detto: “Non può essere lui. Sarà uno di questi gruppetti indie-qualcosa che si attribuiscono le sembianze di uno così famoso per giocare sul contrasto o l’assonanza con le loro idee musicali”. Invece mi sbagliavo. Ho fatto qualche controllo in giro e ho scoperto che dietro al nome David Lynch non c’erano altri che lui: David Lynch. David “Fottuto” Lynch, ragazzi miei. Un paradosso ontologico quasi degno di uno dei suoi film. Che poi era un po’ l’uovo di Colombo, a pensarci bene. Che il geniale regista nativo del Montana fosse appassionato di musica e musicista lo si sapeva da tempo. Come pure è arcinoto che la musica rivesta un ruolo fondamentale nel suo modo concepire una scena o una storia (laddove ce ne fosse ancora una) e che abbia collaborato in varia misura alla stesura delle proprie soundtrack col fido Angelo Badalamenti, ad esempio, o con il pianista Krzysztof Penderecki, per l’ultimo “Inland Empire”. Meno conosciuti erano invece i suoi trascorsi musicali più, diciamo così, privati: come il fatto che avesse scritto i testi dei primi due album della cantante Julee Cruise (colei che cantò la versione vocale del main theme di “Twin Peaks”, fra le altre cose) e un album rock intitolato “Bluebob” nel 2001, a quattro mani con John Neff, dove suonava anche la chitarra o che avesse partecipato a due brani del disco di Danger Mouse e Sparklehorse “The Dark Night Of The Soul” (2010). A compensare questa piccola lacuna arriva oggi “Crazy Clown Time”, il suo vero e proprio esordio solista, se così si può dire.

Un lavoro che definirlo “cinematico” suonerebbe quasi come una presa per il culo. In “Crazy Clown Time” Lynch traspone fedelmente nella grana sonica quelle che da sempre sono le sue ossessioni (o fologorazioni) audiovisive: la ripetitività ritmica come a indurre uno stato di trance vigile e permanente, le circolarità, le specularità,i i doppi, i loop onirici e metafisici (nel senso estetico ma anche spirituale del termine). Questo almeno in astratto, in concreto conferma la predilezione per sonorità che fanno capo agli anni 80 e 90 – new-wave, electro, synth-pop, trip-hop, alt-rock in un accezione country e bluesy – dispiegate in brani costruiti su una base semi-digitale di tastiere, scompaginate dagli echi e dalle folate della chitarra elettrica tutta giocata su twang, effetti e riverberi tipo slide e in qualche caso coronate da una voce robotica e alterata dai flanger: una voce che sembra provenire dal megafono disturbato del regista, deus ex-machina, mentre gioca a drenare il flusso del suo sogno lucido. Un’esperienza perturbante, grottesca, affascinante o irritante, a seconda dei gusti, come quasi tutte le opere –filmiche o non – di Lynch.

Così se la notturna e opalescente “Pinky’s Dream” apre con una dark-wave tirata un po’ alla Siouxsie (cantata da Karen O: l’unica voce intelligibile utilizzata dal regista/musicista), “Good Day Today” e “Stone’s Gone Up” indulgono in un synth-pop dalle cadenze androidi e kraftwerkiane, viceversa “So Glad” (con le voci vetrose e mummificate dalla distorsione), “Noah’s Ark” e “I Know” (echi di stridori industriali e controtempi scolpiti) traslano il trip-hop in una galassia parallela e ucronica dove Bristol non è mai esistita. Sul versante più vicino al rock (o da quel che un simile termine può significare nel pensiero divergente e sterminato di uno come Lynch) spiccano invece la bellissima title-track, sette minuti di blues sotto dilauid dal perimetro ambientale e dal testo semi-pornografico condito da un falsetto pulp e da gemiti fetish, un altro blues in pieno disfacimento sinaptico come quello di “Football Game”, (appena) intonata da una specie di mostro sdentato che sembra uscito dagli incunaboli più morbosi di “Lost Highways”, il sopore arso e deformante, misto di slo-core, noir e non so che, di “Speed Roadster” e “Movin’ On”.

Anche se l’apice lo toccano, forse, due episodi totalmente off come l’encefalogramma dream-gaze della magnifica “She Rise Up” o “Strange Unproductive Thinking” sorta lectio academica sulla cognizione partorita dalla mente sconvolta e drogata dello psicanalista di Laura Palmer.

Filmaker, regista televisivo, attore, sceneggiatore, pittore, designer, fotografo ed ora anche “cantautore” e musicista, David Lynch si conferma una sorta di (post)moderno artista rinascimentale, regalandoci un disco alla sua maniera. Inimitabile, checché se ne dica, nel bene e nel male. Ideale da ascoltare in cuffia - a volume basso e sottocutaneo - nel cuore della notte per mettere in scena il nostro sogno/incubo personale e vedere dove ci porta il subconscio.

V Voti

Voto degli utenti: 6,6/10 in media su 6 voti.
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varlem 5/10

C Commenti

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crisas (ha votato 8 questo disco) alle 1:05 del 16 novembre 2011 ha scritto:

Che eleganza! Grande Davdid.

skyreader alle 12:05 del 16 novembre 2011 ha scritto:

Good Day Today

Non mi sento di esprimere un giudizio ancora definitivo, specialmente per un artista che molto ho apprezzato come regista. Ma il singolo "Good Day Today" con le peggiori idee danzerecce primi Anni '90, e con quel vocoder davvero scialbo, per non parlare della banale melodia che mi sembra davvero distante dagli standard artistici che Lynch ci ha dispensato in tanti anni. Limitarsi a evidenziare quanto il singolo (ripeto, non l'album) sia scialbo e inconcludente: lo riscatta un po' il macabro video diretto da Arnold de Parscau che ha vinto il concorso indetto da Lynch. Almeno si apprezza il contrasto fra l'audio e la parte visiva.

Marco_Biasio (ha votato 8 questo disco) alle 14:29 del 16 novembre 2011 ha scritto:

Una sorpresona. E' un po' colonna sonora di INLAND EMPIRE e un po' piano-bar à la Blue Velvet. Un po' synth robotici e un po' synth alieni, disumani. Un po' chitarre twang-noir e un po' sballatissime invenzioni di pura anarchia (ex. la title-track). Un po' di senilità ed un po' di indefinibile genio, lo stesso dei suoi meravigliosi ed intramontabili film (film? Esperienze visive, meglio). Mi ci vorrà ancora del tempo per poterlo inquadrare appieno, perché mi pare molto elaborato, lungo, eterogeneo sebbene non complesso, a tratti ostico. Certo, al momento attuale se dovessi inquadrare una canzone brutta non sceglierei Good Day Today, piccolo sprazzo di serenità (relativa: mi pare che nel bridge volino le esplosioni delle bombe e le cartucce delle armi da fuoco...) in mezzo ad un mare di tenebre. Dato il mood dei suoi ultimi lavori mi sarei aspettato anche qualche atmosfera di contorsione e perversione metallica (roba tipo Tool, o anche solo vagamente industrial) che invece manca. Un qualcosa, anch'esso, da non sottovalutare.

tramblogy alle 14:56 del 16 novembre 2011 ha scritto:

Figo , Che bell'e uomo!!

varlem (ha votato 5 questo disco) alle 20:51 del 18 novembre 2011 ha scritto:

mah.. in questi anni "rivoluzionari" ci mancava un David Lynch che proponesse una musica piena di alt- rock-ismi, pop-synth-imi,chitarri-imi di cui è piena la scena musicale di questi ultimi anni.

Un 5... di fiducia

Marco_Biasio (ha votato 8 questo disco) alle 11:34 del 19 novembre 2011 ha scritto:

Are you laughin' or are you cryin'?

In definitiva a me piace, e nel prossimo futuro rischia di piacere pure molto. Chi non conosce il regista e l'uomo difficilmente amerà un disco così reiterato, lento e lungo (anche se, per la precisione, che sia troppo lungo è comunque un dato di fatto: bastava sgrossare le canzoni di almeno un minuto e mezzo-due minuti). Sono, più che canzoni, stati d'animo e momenti di alterazione che lavorano molto sul subconscio e che entrano dentro pian piano. Per cui l'utilizzo e l'impiego di certe atmosfere è azzeccatissimo (vedi i vari talkin' blues, le chitarre twang, i riverberi, le slide western, ma anche tutta quella serie di delay, echi, effetti, fruscii che si susseguono nella tessitura musicale e che donano ai pezzi l'aria sporca e decadente di "Eraserhead" e la diacronica follia disturbante di "INLAND EMPIRE", come a dire un cerchio che si chiude...). Alcuni pezzi sono particolarmente belli: qui mi sento di citare "Pinky's Dream", con Karen O che tira fuori una performance dinamica e sensualissima - peccato non aver insistito abbastanza sulle ospitate -, il tappeto soffuso, misterico e sussurrato di "Noah's Ark", "The Night Bell With Lightning" e le sue ambientazioni da western-noir, una clamorosa title-track che racchiude il meglio dell'anarchia inventiva di Lynch e, perché no, anche "Speed Roadster". Ammetto che anche "Strange And Unproductive Thinking", nel suo inesorabile, torrenziale, androide avanzare aritmico e (quasi) amelodico abbia un suo forte fascino, sebbene io la consideri davvero troppo estenuante alla lunga. Un po' di calo in coda, normale per dischi così elaborati ed eterogenei, ma "She Rise Up" è praticamente la versione lynchiana di "Song To The Siren"... In totale per me è 7.5, arrotondato. Per chi si aspettava la vaccata del secolo credo ci sarà molto di cui stupirsi, in positivo. Complimenti a Simone che è venuto a capo con eleganza di una matassa parecchio ingarbugliata: non era facile, per nulla.

Marco_Biasio (ha votato 8 questo disco) alle 11:37 del 19 novembre 2011 ha scritto:

Ah, su "Good Day Today", niente di imprescindibile, ma i contrasti che Stefano ravvisa nel video ufficiale (peraltro, davvero suggestivo e realizzato con estrema perizia) io li sento anche all'interno del brano stesso, costruito su pochi fraseggi elettronici e continuamente disturbato da interventi esterni. Per la canzone "brutta" io voto la grandeur da stadio di "Stone's Gone Up".

simone coacci, autore, alle 18:12 del 20 novembre 2011 ha scritto:

RE:

Concordo, "Good Day Today" inscena quella che è un po' la sua dicotomia di fondo: guardare le cose (apparentemente) belle e irreprensibili in modo corrosivo così da svelare il marcio che vi alligna. Il video è abbastanza esplicito in tal senso.

Suicida (ha votato 6 questo disco) alle 13:37 del 22 novembre 2011 ha scritto:

Lo preferisco decisamente alla regia, comunque disco fruibile nel complesso.