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6/10

Jeff Bridges

Jeff Bridges

L’erba del vicino è sempre più verde, dice il proverbio. E a questo subdolo luogo comune non si sottraggono nemmeno gli artisti ricchi e famosi, quelli che dalla vita hanno ottenuto più o meno tutto quello che si possa desiderare. Così mentre molti cantanti e musicisti, presi dalle fregole della celebrità e dal culto fervente della propria immagine, tentano la strada del cinema con esiti più o meno disastrosi (per ogni Sinatra o Kris Kristofferson che entrano nel mito, ci sono stuoli di Madonne che dovrebbero far riflettere), altrettanti colleghi attori non resistono alla tentazione di prendere in mano un microfono (o lo strumento che si dilettano a strimpellare nelle rispettive roulotte durante le pause di un film) e si esibiscono dal vivo, cantano o scrivono canzoni, incidono dischi originali o di cover. In casi sporadici: danno vita a vere e proprie carriere parallele.

Sarà che cantare, al karaoke o sotto la doccia, è un passatempo universale o che da bambini più o meno tutti, posando davanti allo specchio, hanno sognato di diventare delle rock-star o che ripetere un ciak dieci volte, magari fissando il vuoto, in campo-controcampo, senza neanche l’altro attore presente, non dà le stesse emozioni che dà suonare dal vivo di fronte ad un pubblico che ti applaude e conosce a memoria le parole delle canzoni.

Sarà quello che sarà ma a Hollywood ultimamente la passione per la musica sta facendo prigionieri sempre più illustri: così se Johnny Depp può vantarsi di suonare la chitarra in un gruppo chiamato P con l’amico d’infanzia Flea, Gibby Haynes dei Butthole Surfers e l’ex Sex Pistols Steve Jones, Bruce Willis, quando non è impegnato a salvare la terra da un asteroide in caduta libera o a prendere a schioppettate e battute fulminanti qualche cattivo, si diverte a recitare la parte del blues-man con la sua band; hobo nell’animo e cantautore talentuoso nel suo piccolo è Billy Bob Thornton, grande amico e vicino di casa della buonanima di Warren Zevon a cui ha dedicato un album di cover che si aggiunge ai quattro pubblicati a suo nome; e anche le donzelle non scherzano: se per Charlotte Gainsbourgh non poteva essere altrimenti col dna che si ritrova e Juliette Lewis ha ribadito in musica la sua immagine di bad-girl codificata in film come “Natural Born Killers” e “Strange Days” con Juliette And The Licks, più sorprendente è l’amore per Tom Waits confessato da Scarlett Johansson nel suo album del 2008 “Anywhere I Laid My Head” prodotto da David Sitek.

Anche il sessantaduenne e fresco premio Oscar Jeff Bridges fa il suo debutto discografico con un album perfettamente in linea con quello che è il suo personaggio dentro e fuori dal set. L’omonimo, infatti, suona proprio come ci si aspetterebbe da uno che ha interpretato il Drugo e Il Grinta, che volteggiava in orbita sulle note di Dylan ma odiava gli Eagles; un attore di enorme da lento, ma anche un signore descritto da chi lo conosce bene e ha lavorato con lui come uno degli ultimi galantuomini di Hollywood, una persona disponibile e priva di boria, uno che vive tranquillo nel suo ranch di Montecito, lontano dal glamour e dal trash per quanto il suo mestiere glielo consenta, e che è sposato con la stessa donna dal 1977, non una modella capricciosa o un’ereditiera snob dell’aristocrazia californiana, ma un’ex cameriera conosciuta mentre girava una scena nel locale in cui lei lavorava. Un disco che gli somiglia, si diceva: a Bridges, che canta e suona la chitarra da quand’era ragazzino nei lontani 60s, l’idea è venuta circa due anni fa, mentre girava un film intitolato “Crazy Heart”, la storia di un musicista country fallito e alcolizzato che cerca di dare un colpo di coda alla propria carriera. La pellicola, passata pressoché inosservata in Italia (naturale: qui la musica country con le sue storie d’altri tempi di dannazione-redenzione non se la fila quasi nessuno), è valsa all'attore un Golden Globe e un premio dello Screen Actors Guild ma soprattutto gli ha dato modo di cantare cinque brani scritti per il suo personaggio e inseriti nella colonna sonora.

La bella interpretazione, unita al carisma innato e alle insospettabili doti canore gli hanno quindi fruttato un’offerta della Blue Note, casa discografica specializzata in jazz e musica “adulta”, così Bridges, fra un copione e l’altro, s’è messo al lavoro ricostituendo attorno a se lo stesso team che aveva lavorato così bene alla soundtrack del film in questione. Su tutti il produttore T-Bone Burnett, già storico chitarrista della band di Dylan negli anni 70, cantautore, musicologo e gran mogul del country moderno, oltre che autore e supervisore di colonne sonore roots per il cinema (notevole il suo contributo a pellicole quali “Walk The Line”, “Il Grande Lebowski” e “Fratello Dove Sei?”), insieme ad autori e musicisti di primissimo piano nel circuito country più tradizionalista come Stephen Bruton, Greg Brown e John Goodwin. Il risultato è una musica country tradizionale, agrodolce, rilassata, easy listening, eseguita e prodotta in modo levigato e certosino, che si adatta perfettamente alla voce morbida e pastosa, per metà hippie sornione e per metà cow-boy innamorato, del vecchio Jeff. E pur essendo lontani anni luce dal capolavoro, non ha nulla di supponente né di paraculo, ma scorre piacevolmente come un bel film in quarta visione in un pigro pomeriggio di cazzeggio televisivo.

Fra melodie dolenti e pennellate di slide come da manuale nashvilliano (“Maybe I Missed The Point”, “Everything But Love”, “Nothing Yet”), episodi più ritmati come il rock classico di “What A Little Bit Of Love Can Do” e lo shuffle/bluesy di “Blue Car”, nei tre brani autografi Bridges mostra anche un’interessante propensione per il versante più moderno e alternativo del country in brani come la waitsiana “Tumbling Vine” (tutta twang e percussioni disossate), nell’intima e bozzettistica “Falling Short” o nel sopore desertico e dissonante di “Slow Boat”, il pezzo più bello del disco, fra echi di Calexico e Giant Sand, con la voce che si abbassa di un’ottava e si fa profonda e declamata. Un piacevole passatempo da gustare magari in parallelo con il film che ne è all’origine per tutti gl’incorreggibili appassionati di country e dintorni.

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Alessandro Pascale alle 0:56 del 13 settembre 2011 ha scritto:

avevo avuto occasione di parlare in minima parte della stupenda prestazione musicale di Bridges qui parlando del film: Butcher_s_Run_Films_Informant_Media,_2009).p0-r573" target="_blank">http://www.storiadeifilm.it/Crazy_Heart_di_Scott_Cooper_(Butcher_s_Run_Films_Informant_Media,_2009).p0-r573

The Weary Kind a tal riguardo era incantevole! http://www.youtube.com/watch?v=z8monRJzzvU