R Recensione

7/10

Peter Morén

The Last Tycoon

Uno degli album più interessanti del 2008 nel panorama del pop-folk acustico ce lo regala Peter Morén, ovvero il Peter dei “Peter, Bjorn and John”, il gruppo svedese che, formatosi a Stoccolma nel 1999, ha raggiunto la fama nel circuito del pop alternativo solo nel 2006 con l’acclamato “Young Folks”. “The Last Tycoon”, esordio da solista di Peter Morén, pubblicato il 7 aprile 2008, precede di qualche mese l’ultimo lavoro del trio, ovvero lo strumentale “Seaside Rock”. Spontaneo e spensierato tanto quanto i lavori del gruppo madre, si discosta da questi ultimi prevalentemente per il fatto di abbandonare chitarra elettrica, basso, batteria e tastiere ed essere interamente costruito attorno alla chitarra acustica, che gli permette di guardare ad un pop più vicino a quello che è stato definito “new-acoustic movement”, citando I Am Kloot e Kings Of Convenience su tutti.

Nelle dieci tracce che compongono il suo lavoro da solista, Peter ripropone in maniera più accentuata le caratteristiche che più lo contraddistinguono all’interno del trio, ovvero l’attitudine folk, la mutevolezza canora e i suoi strumenti prediletti (chitarra acustica e armonica). Il risultato è un pop-folk, con frequenti cadenze jazz, tanto minimale quanto intenso, tanto lo-fi quanto raffinato. “The Last Tycoon” ricorda soprattutto l’Inghilterra degli I Am Kloot più raffinati (“Reel To Real”, “Le Petit Coeur” e “Tell Me In Time”), dei Beatles (“Old Love” e nel ritornello di “Social Competence”) e di Badly Drawn Boy (“Twisted”), con il tocco del compatriota Jens Lekman degli esordi (“Missing Link” e “This Is What I Came For”). Si tratta quindi della Scandinavia che guarda alla terra d’Albione.

Chitarra acustica in primissimo piano, accompagnata da armonica (“Tell Me In Time”) e dal pianoforte (“Old Love” e “I Don’t Gaze At The Sky”), talvolta con lievi tocchi di batteria. La chitarra si fa elettrica in “My Match”, mentre il pianoforte diventa protagonista in “Twisted”. Troviamo una strumentazione più ricca in “Missing Link”, in “Le Petit Coeur” e in “Social Competence”, con orchestrazioni che hanno il merito di non risultare mai troppo invadenti e di essere funzionali solo a conferire maggiore armoniosità e ariosità all’album. La voce di Peter si lascia apprezzare sia quando diventa più grave sia nei momenti in cui punta al falsetto. Dal punto di vista melodico, il picco è raggiunto nelle due tracce che più fedelmente rispecchiano i canoni pop. Troviamo, così, due piccoli gioielli (“Le Petit Coeur” e “My Match”), incastonati proprio al centro del disco.

Sulla base dei suoi molti pregi e pochi difetti, “The Last Tycoon” si dimostra pienamente all’altezza dei lavori a firma “Peter, Bjorn and John”, riuscendo ad intrattenere piacevolmente gli amanti del genere, ma non solo. Riascoltato a distanza di qualche mese, ovvero dopo l’uscita di “Seaside Rock”, ha il merito di riparare alla parziale delusione dei fans del trio madre, che si sono visti recentemente recapitare un disco interamente strumentale e che ora attendono impazienti quello che si spera sarà il degno successore di “Young Folks”, conservando intatta la fiducia che avevano riposto nella band.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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target 7/10

C Commenti

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target (ha votato 7 questo disco) alle 16:05 del 15 novembre 2008 ha scritto:

Bella dritta, robé. Questo svedese suona americano assai: è folk-pop, sì, ma non sulla scia del twee scandinavo più classico (anche se un po' di Lekman qua e là c'è, come lo zucchero sui dolci). La parte centrale, in effetti, è quella più convincente: "le petit coeur", forse, su tutte - e pure "Twisted".