R Recensione

6/10

The Balky Mule

The Length Of The Rail

The Balky Mule è il progetto del polistrumentista britannico Sam Jones. L’artista in questione non è ovviamente né il Sam Jones musicista e compositore jazz né l’omonimo compositore per orchestra. Trattasi, piuttosto, di uno dei protagonisti (insieme al fratello Matt Jones) dei Crescent (band alternativa di Bristol, formatasi negli anni e ancora in attività, che ha dato alla luce sei album in studio) nonché ex-membro dei Movietone e musicista occasionale dei Flying Saucer Attack (rock band entrambe con sede principale a Bristol, la prima delle quali è ancora in attività).

Trasferitosi a Melbourne, in Australia, Sam Jones ha dato vita da qualche anno al progetto “The Balky Mule”, concretizzatosi in una serie di autoproduzioni. “The Length Of The Rail” rappresenta il vero e proprio debutto sulla lunga distanza del progetto “The Balky Mule”.

Nonostante “The Balky Mule” costituisca un progetto autonomo rispetto ai Crescent, il sound di “The Length Of The Rail” non si discosta poi così tanto da quello della band dei fratelli Jones. L’esordio come solista di Sam Jones è costituito da 15 tracce, alcune poco più che frammenti (“Chalk”, “Length Of The Rail”, “Illuminated Numbers”, “We Sometimes Write”, “Glass Boat”), stilisticamente abbastanza omogenee.

Trattasi di un pop-rock con tendenze folk, dalle tonalità piuttosto sghembe, rigorosamente lo-fi, a volte più slow (“Paper Crane”, “Tell Me Something Sweet”), altre volte più decisamente in stile folktronica (“Blinking”, “Instead”).

Un album troppo poco pretenzioso, la cui qualità si attesta sulla sufficienza, senza andare oltre. A parziale conferma, si segnala che i momenti relativamente meglio riusciti sembrano essere “proprio e soltanto” quelli dotati di un impatto più immediato sull’ascoltatore (“Dust Bird Baths”, “Jisaboke”, “Moth Like A Woodchip”, “Wireless”, “Range”). Il che è tutto dire…

V Voti

Voto degli utenti: 5/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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target (ha votato 5 questo disco) alle 19:06 del 8 maggio 2009 ha scritto:

D'accordo con te, Robé, ma ancor più perplesso sull'esito finale. Le cose migliori stanno all'inizio, ma sono pastelli folk sperimentali lo-fi che un Chad VanGaalen, per dirne uno, rende con molta più efficacia. Scialbo. L'indolenza mi piace ma non fino a questo punto.

Roberto Maniglio, autore, alle 21:57 del 8 maggio 2009 ha scritto:

Francesco, colgo l'occasione per salutarti e ringraziarti del commento. In effetti, scialbo è forse l'aggettivo più adatto per descrivere questo disco. Le tracce migliori stanno nei primi due terzi del disco, ma mi sono sembrate abbastanza scontate. In numeri il voto giusto è 5,5.