Queens of the Stone Age
...Like Clockwork
A sei anni di distanza dal fiacco e imbolsito Era Vulgaris e dopo lennesimo cambio di formazione (Joey Castillo ha lasciato la band a registrazioni in corso, e il lavoro dietro le pelli è stato portato a termine da Dave Grohl), Josh Homme rimette in pista la sua creatura prediletta.
Like Clockwork si presenta come opera estremamente ambiziosa, puntellata da una sterminata lista di guest star: da Alex Turner a Trent Reznor fino a Sir Elton John e Mark Lanegan. Si registra un cameo persino per il figliol prodigo Nick Oliveri, colui al quale un tempo fu dedicata la velenosa Everybody Knows That Youre Insane: rimpatriate e riappacificazioni del resto costituiscono il sale di ogni rock band matura che si rispetti.
Appare subito chiaro come Josh da un lato cerchi di recuperare una scrittura ispirata allinterno del canovaccio grunge-stoner riletto attraverso il prisma del punk che ha reso grandi le regine, e dallaltro esplori nuove soluzioni: si pensi al frequente ricorso a un pianoforte dentro composizioni più magniloquenti del solito. Il risultato è accettabile nonostante leffetto déjà vu e si registra un parziale ritorno in carreggiata, benché le vette di un Songs For The Deaf restino lontane.
Si parte subito a spron battuto con il midtempo di Keep Your Eyes Peeled, forte di un ipnotico e avvolgente rifferama che riporta al 1994 di Soundgarden e Kyuss, con la tensione che sfocia in un refrain QOTSA al cento per cento. Tra i brani nel solco più classico delle regine spiccano limpetuosa My God Is The Sun in cui fa capolino una certa prosopopea alla Muse, lincalzante If I Had A Tail e una contagiosa I Sat By The Ocean che si propone come feel good hit of the summer, per citare uno degli episodi capitali del passato della band. Notevole anche I Appear Missing, in cui le squassanti rullate di Grohl e le intricate trame chitarristiche riportano ai fasti di perle del passato quali The Sky Is Fallin e Better Living Through Chemistry. Va detto che il motore della band registra qualche giro a vuoto, in Kalopsia in cui risulta profondo il marchio Reznor e Fairweather Friends il sovraccarico di suoni e voci inficia in parte la fluidità melodica, ma in fondo gli anni passano per tutti e Homme i suoi capolavori li ha già messi a referto.
Il sipario cala con l'epica title track, episodio che merita un discorso a parte e che riflette le vicissitudini personali e sanitarie vissute dal lider maximo negli ultimi tempi: dopo una partenza lenta e rarefatta al piano, in cui Homme propina una passabile imitazione di Neil Young con una voce fragile e nuda come non si era mai sentita, il brano culmina in una impennata elettrica dalle tinte vagamente soul in grado di evocare piacevoli fantasmi dei tardi Afghan Whigs. Non sarà più una musica temibile y impresionante, ma ci si accontenta.
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