R Recensione

6/10

Oakley Hall

I'll Follow You

Meglio confessarlo subito: se sono qui a parlare degli Oakley Hall non è certo perchè  fan accanito della scena alt-country, bensì perché il leader del gruppo è tale Pat Sullivan, che fino al 2001 ha militato nelle bollenti file degli Oneida. Dato che la venerazione del sottoscritto per la band newyorchese è pressoché sconfinata è risultata cosa naturale indirizzare l'attenzione su un progetto di un ex-membro del gruppo, circostanza che mi ha condotto a scoprire produzioni più che egregie come Second guessing e Gypsum strings (entrambi del 2006), che pur senza infiammare particolarmente gli animi erano dischi che indicavano una buona strada da percorrere per un genere già molto abusato dalle vecchie generazioni, figuriamoci dalle nuove. Il percorso intrapreso da Sullivan era di partire da una base country per bombardare l’ascoltatore con chitarre elettriche dall’anima profondamente psichedelica. Come dire un parziale incrocio tra i primi Oneida e Johnny Cash.

La formula di I’ll follow you resta fondamentalmente la stessa: un country-rock a tinte psichedeliche, a tratti in versione hard (Marine life), a tratti in versione più acida e selvaggia (la trascinante batteria e gli assoli cinetici di Alive among thieves; l’eccitante cavalcata di All the way down). Probabilmente i momenti migliori del disco sono questi, quando il gruppo si lascia andare a ritmi trasgressivi e sfrenati permeati da uno spirito “new psychedelic sounds”. Se però ci limitassimo a quest’analisi faremmo in effetti un grosso torto all’incantevole voce di Claudia Mogel (la troviamo anche al violino) che prima fa la sua candida comparsa nel potente duetto di No dreams (che fa pensare agli eterei Low impastati di chitarre potenti) e poi domina la scena in Angela (country dalla struttura classica ma impeccabile) e in First frost (romanticismo allo stato puro).

Per il resto il disco scivola via senza troppe pretese. C’è spazio per l’orecchiabile Rue the blues e per l’alt-country di protesta sociale (Free radical laments) mentre gli episodi peggiori sembrano essere l’andamento melenso di I’ll follow you e il rispolvero di temi indie non del tutto convincente di Best of luck.

Sostanzialmente il disco non si discosta dai precedenti e mantiene un buon livello qualitativo, anche se inevitabilmente viene da pensare che le scorribande di Sullivan negli Oneida erano un’altra cosa.

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