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R Recensione

6/10

Shearwater

Jet Plane and Oxbow

Sensibilità ed emotività lontane dal materialismo americano, quelle di Jonathan Meiburg. In questo senso, la trilogia “Palo Santo”, “Rook”, “The Golden Archipelago” degli Shearwater rappresentava un elogio alla natura e al sentimento; dischi di climax spirituali, simbolismo e scontro con la società e le sue patologie. È stato, il trittico, uno dei momenti più alti per l’indie (folk, rock?) americano anni 0.

Animal Joy”, 2012, variava l'assetto entro i solchi di un rock d’istinto, sempre prossimo all’essenza: natura e vita selvaggia, anche lì; con risultati, però, meno significativi.

Oggi, con più consapevolezza di questo scarto, rilasciano “Jet Plane and Oxbow”. Ed è subito critica (“It’s definitely a protest record, but it’s not a bleak one”): “Quiet Americans”, di beat in 4/4, effettaggi e scintille electro, cascate cromatiche di contrappunto al buio dominante. È un crescendo, nel ritornello, da brividi (all calling on their own tonight / filling the remaining hours / the only sound are the bells upon the hill / the only light are the lanterns in the wind / the only sight  skims the rust off the rails). Considerando la opener “Prime” e, appunto, “Quiet Americans” si potrebbe pensare al disco quale svolta electro degli Shearwater. In realtà i texani provano a dire le stesse cose di sempre, però arricchendo il sound d’influenze non solo synth pop, ma anche pop rock '80s, psichedeliche (“Wildfire in America”, so The War On Drugs) e di derivazione indie rock su bordi mainstream – “A Long Time Away”, Arcade Fire altezza "The Suburbs"; la ballata (in odore arena) “Only Child”.

Oltre a replicare, in parte, l’impatto nel sound  (i groove di basso/batteria di “Filaments”; “Glass Bones”) proprio di “Animal Joy” gli Shearwater scelgono di dettagliare ancor di più i brani rispetto al passato, sia per arrangiamento sia per produzione. Una produzione volutamente ‘80s, nelle intenzioni di Meiburg: pre-digitale, quindi, sebbene non priva di ancoraggi alla contemporaneità. A scapito, va detto, di quella spontaneità estetica degli esordi ai limiti della commozione.

La sensazione, almeno nella sezione centrale, è di girare parecchio a vuoto – “Filaments”, “Pale Kings”, “Glass Bones”. Il tutto è controbilanciato sufficientemente da gemme sparse qua e là (“Quiet Americans", lo sbocciare della chitarra in “Backchannels”, i pattern kraut di “Radio Silence”), è da un Meiburg in stato di grazia (“Backchannels”, su tutte) in alcune occasioni.

Maturi, potenzialmente, i tempi per un disco di questi suoni e tematiche, gli Shearwater sembrano aver perso la bussola e il tratto che stagliava la loro proposta. Appagante, sicuramente, in alcuni momenti sparsi, "Jet Plane and Oxbow" non fa che accrescere una certa nostalgia per i tempi della loro trilogia. 

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Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 1 voto.
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