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R Recensione

7/10

Will Butler

Policy

Forse è stata la voglia di sottrarsi dall’ingombrante ombra del fratello maggiore, forse è stata la voglia di sbizzarrire il suo talento da polistrumentista, qualcosa, ad ogni modo, ha fatto scattare la scintilla che ha portato Butler junior a registrare “Policy” in una sola settimana, nel salotto della vecchia casa di Jimi Hendrix. Avvalendosi di soltanto un paio di sodali, Will ha suonato in pratica l’intero album, preferendo l’immediatezza e l’energia delle prime prove al lavorìo in studio, e si sente. “Policy” è un disco schietto, diretto e divertente e che straordinariamente, date le premesse, riesce anche a non essere rozzo.

D’altronde, quando sei fra i fondatori del gruppo forse più iconico degli anni ‘00 è ovvio che le aspettative non possano che essere elevate. Viene anche spontaneo chiedersi, quanto c’è di Will Butler negli Arcade Fire e quanto c’è degli Arcade Fire in Will Butler?

Molto, in entrambi i sensi, da quanto traspare dall’ascolto. E così sembra di riascoltare i momenti più scalcinati della band madre nell’opener “Take My Side” suonati con ritrovata energia power pop (lui dice di essersi ispirato alle The Breeders), energia che trabocca nella non sense “What I Want” (“If you come and take my hands, i will buy you a pony. We can cook it for supper, I know a great recipe for pony maccaroni”, impagabile).

Poco spazio è lasciato alle ossessioni suburbane fraterne; in “Something’s Coming” appiccicosissimo pezzo meccanico alla Talking Heads e se vogliamo nell’irriverenza del gospel virato alt-rockSon of God”.

Meno facile è rintracciare qualcosa di simile al boogie pianistico di “Witness”, che assieme alle ballate lennonianeFinish What I Started” e “Sing To Me” (più canonica la prima, ricca di echi e delicatissimi fiati la seconda) rappresentano il core più tradizionalista del breve album (mezz’ora circa e otto pezzi, non si sente la mancanza di altro).

L’episodio più retrofuturistico è il singolo “Anna”, forte di un indimenticabile ritornello che è già un piccolo classico e di un arrangiamento wave a base di synth incalzanti e tastiere giocose è un punto di incontro fra revivalismo e le nuove energie onnivore che anima (non è certo un caso) anche Reflektor. Gli inserti di tromba, puro genio pop, sono lì a dimostrare un talento innato, mentre si incastrano alla perfezione coi synth nevrotici.

Non sarà bello paragonare costantemente un percorso solista a quello del gruppo di appartenenza, ma risulta difficile anche evitarlo, specie in questo caso, dove davvero ritroviamo pezzo dopo pezzo alcune delle anime degli Arcade Fire (quella wave, quella alternative rock, quella pop tout court). Se tanto mi dà tanto, forse c’è più Will di quello che si possa pensare nella ricetta dei canadesi e lui, che sul palco si agita fra chitarre, xilofoni e percussioni, ci guarda dalla copertina sfidandoci a negarlo. Hai ragione Will, però manca quel tocco di magia.  

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 3 voti.
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swansong alle 10:46 del 16 aprile 2015 ha scritto:

Molto curioso di darci un ascolto...