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6/10

Clan Destino

Cuore-stomaco-cervello

Solo un anno dopo l'uscita dell'omonimo album d'esordio, i Clan Destino concedono il bis pubblicando Cuore-stomaco-cervello mantenendo la stessa formazione, fatta eccezione il ruolo di bassista ricoperto, qui, dalla new-entry Fabrizio Palermo che sopperisce all'assenza di Luciano Ghezzi, il quale decise di abbracciare il progetto Delinqenti. Il sound della band rimane grossomodo quello del primo disco: un energico ed arrabbiato rock in stile anni Settanta con sprazzi southern e, soprattutto, blues.

Fin dalle prime note del disco, ci si può facilmente accorgere che l'anima della band è rimasta intaccata: non solo i ritmi sono immediatamente incalzanti ed accesi, ma dal testo della open-track Alza la radio emerge la rabbia, la voglia di contestazione, la lotta all'omologazione, l'odio per quel genere di musica vuota e nata meramente a scopo commerciale, l'amore per il volume alto già manifestato a chiare lettere un anno prima nel disco d'esordio. I Clan Destino, per chi non li conoscesse ancora, mettono subito in chiaro il loro sound, proprio cantando alcuni versi di questo brano iniziale: «Non è musica pop, non è la techno e nemmeno uno spot, non è l'ennesima compilation di musica finta, di gente finta che non esiste, che non vedi mai in giro».

Come già accennato, il disco continua sulla falsariga tracciata dal suo precursore, portandosi dietro sia i suoi difetti sia i suoi pregi. Ancora una volta, è facile imbattersi in pezzi che risultano piacevoli se presi singolarmente, ma che spesso, nella totalità del disco, suonano monotoni e ridondanti. Ancora una volta, i testi non sono sempre ai livelli della musica, che rimane invece benfatta praticamente in ogni brano. I Clan Destino ricorrono spesso ad alcuni cliché già sentiti e, per questo, banali e scontati. Di contro, in alcuni punti dell'album, quanto detto si annulla e ci si trova di fronte a canzoni pregne di una certa originalità che, se fosse venuta fuori in ogni singolo episodio del disco, avrebbe portato la band a livelli davvero altissimi.

Dopo il brano di apertura, il disco si perde un po' nelle due tracce successive, salvo poi tornare a colpire con L'uragano, un brano rock che è la vera e propria icona del sound di Fornaciari e compagni: il giusto mix di rabbia, chitarre distorte e carica emotiva. Ad esso, eccellente emblema di quanto questa band sia capace e dotata, segue La testa che fa bum-bum la quale, per contrappasso, è l'esempio di quei brani più banali e ripetitivi nel repertorio della band.

L'indiscusso capolavoro dell'album giunge con Per sempre sei, ballata in uno stile sicuramente più dolce rispetto agli standard della band, con un testo davvero degno di nota, carico di speranza e passione, capace di rapire l'attenzione dell'ascoltatore e di lasciarlo estasiato. A corredare questo pregevole pezzo, all'interno del booklet del disco nel quale ogni musicista ha una sua pagina con i relativi ringraziamenti personali, c'è questa dedica scritta proprio da Gianfranco Fornaciari, autore dei testi del disco: «Dedicato a mio padre che è passato su questa terra, ha amato mia madre ed ha lasciato me a testimoniare che tutto questo, piccola o grande cosa che sia, è veramente successa». È opportuno sottolineare che il booklet è presente soltanto nella prima edizione del disco, vale a dire quella del 1995; la ristampa del 2011, infatti, non include il suddetto libricino. Fra i brani degni di nota, spiccano senza dubbio C'è un film, un blues che, come Pilic Blues nel primo disco, vanta la partecipazione di Fabio Treves all'armonica, e Dio della campagna, un pezzo dal testo surreale e sognante, nel complesso abbastanza suggestivo. Infine, evitabile il cosiddetto remix di Alza la radio a chiudere il disco, esperimento difficile da interpretare e dalla dubbia utilità nell'economia del disco.

Complessivamente rimane un album piacevole, anche se la band dimostra di essere in possesso delle caratteristiche necessarie per ottenere una qualità sonora sicuramente più elevata. Il giudizio su questo album rimane contraddittorio: c'è una sorta di alternanza fra brani davvero interessanti e pezzi più scialbi e poco stimolanti. A questo album, prodotto da Angelo Carrara per l'etichetta Target, seguirà lo scioglimento: i singoli componenti della band, infatti, decisero di separarsi al fine di iniziare percorsi diversi. Praticamente ognuno di loro ebbe modo di collaborare con altri musicisti, tutti di alto rango, nel corso degli anni successivi. Gigi Cavalli Cocchi diventa il batterista del Consorzio Suonatori Indipendenti, con i quali inciderà, fra gli altri, anche Tabula Rasa Elettrificata, uno dei dischi più conosciuti del gruppo nato dalle ceneri dei CCCP - Fedeli alla Linea. Inoltre, collabora anche con numerosi altri musicisti, fra cui anche il celebre Judge Smith dei Van der Graaf Generator. Max Cottafavi, dal canto suo, ha modo di farsi apprezzare come chitarrista accompagnando musicisti del calibro di Franco Battiato e Francesco Renga. Fabrizio Palermo, che già vantava collaborazioni con Enrico Ruggeri, inizia a lavorare per alcuni anni con la Generalmusic ed, in seguito, collabora anche in un album di Anna Oxa. Infine, anche Gianfranco Fornaciari collabora con molte altre band, fra le quali spiccano i Marlene Kuntz.

Nel 2007 i Clan Destino, senza Cottafavi, tornano a suonare con Ligabue. Dopo questa serie di concerti, i membri del gruppo decidono di cambiare il nome della band stessa in Club Destino e, con questa nuova nomenclatura, incidono una sorta di cofanetto intitolato Registrazioni clandestine. Nel 2010 tornano sia Max Cottafavi sia Giovanni Marani, che aveva suonato nel gruppo soltanto dal 1990 al 1992 in pieno periodo Ligabue, e il frutto di questa reunion integrale è una sorta di EP intitolato Il giorno che verrà.

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