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R Recensione

6/10

Nova Express Quintet

Andras: Book Of Angels, Vol. 28

Discorrendo dei Flaga, abbiamo posto al centro del nostro discorso il concetto superiore di suono: ricollegandoci a quanto già detto, ci muoviamo ora un passo in avanti. Il Nova Express Quintet, lungo la tracklist di “Andras”, ventottesimo capitolo di Book Of Angels, suona come non ho mai sentito fare né nelle precedenti prove, né in altre uscite Tzadik e nemmeno, sui generis, in dischi casuali ascoltati di recente. Per un ensemble che ha scelto la sobrietà espressiva come leit motif della sua ultima produzione sembrerebbe quasi una contraddizione in termini. Eppure, pensare alla mano di Marc Urselli come sesto musicista aggiunto, limitatamente a questa occasione, è una convinzione personale che si apre la propria strada scavando, a guisa di tarlo, ascolto dopo ascolto, ingigantendosi prima, tramutandosi in certezza poi. Sentite come rimbomba, in tutto il suo spessore, il basso di Trevor Dunn, innaturalmente in prima linea, nonostante la contemporanea presenza di Kenny Wollesen al vibrafono e di John Medeski all’organetto (“Kakabel” e “Sahiviel” sono paradigmatiche): com’è granulosa, ai limiti del corporeo, la materialità dello stesso vibrafono e delle congas del membro aggiunto Cyro Baptista (“Sabiel”, “Huzia”); come, nel melanconico swing di “Hemah”, persino le pelli e i piatti di Joey Baron sembrino caricati a molla. Considerata l’assoluta essenzialità del dettaglio nella filosofia della Tzadik, vi sono più che fondate ragioni per ragionare di una “manomissione” (virgolette necessarie) meditata e voluta dall’alto.

In questa palese incongruenza di pianificazione e risultato si esaurisce, a ben vedere, tutto il piacere uditivo. Imbastendo una semplice proporzione, difatti, si ricava che, a parità di cura sonora – seppur sbilanciata sui rispettivi opposti –, in Flaga l’appagamento si sposa, prima ancora che con la magistrale esecuzione, con la qualità sopraffina dei brani. “Andras” soffre, manifestamente, per la non autonomia del terzo parametro. Il problema – se di problema si può parlare – risiede nella manifesta rinuncia all’assalto che, da “On Leaves Of Grass” in poi, ha appiattito la missione rivoluzionaria dei Nova Express (autori, lo ricordiamo, dei tellurici “Nova Express” e “Dreamachines”) su di orizzonti easy listening a breve termine e di pretese contenute. Exotica d’acchiappo, lounge esoterica, klezmer per i profani, surf di seconda mano: pare di immaginarseli, questi signori musicisti, tornare sul luogo del delitto che fu già di The Dreamers, di Alhambra, di molti FilmWorks, del Song Project… Si capisce come sia del tutto superflua la presenza di un’ulteriore formazione di genere. Difatti, per quanto gradevole, “Andras” è lontanissimo dall’essere memorabile: si riscopre “The Treatment” in “Ramiel”, “El General” in “Huzia” (che rimane, a scanso di equivoci, la melodia migliore del disco), “The Concealed – Esoteric Secrets And Hidden Traditions Of The East” in “Tatrusia”, “The Rain Horse” in “Yofiel” e “Nosferatu” nella prima parte di “Ithuriel” (un lento drammatico dai risvolti soleggiati). Potremmo andare avanti ancora a lungo, ma ogni numerazione aggiunge prolissità ed eccedenza.

A piluccare qui e lì, sembrerebbe che Andras sia a capo di una legione infernale composta da trenta unità. Fin troppa pompa per un corrispettivo sonoro che vive di nome, suono, maniera e poco altro.

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