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R Recensione

6,5/10

John Zorn

Pellucidar - A Dreamers Fantabula

Tzadik vive un anno densissimo di avvenimenti, di cui, colpevolmente, nel corso di questi mesi, abbiamo riferito poco e male. Vediamo, in rassegna, i più importanti. È uscito il terzo capitolo di “The Hermetic Organ”, che raccoglie le tonitruanti improvvisazioni organistiche di mastro Zorn, in giro per le cattedrali europee ed americane. Simulacrum, power trio composto da John Medeski, Kenny Grohowski e Matt Hollenberg, ha firmato il suo debutto di fuoco lo scorso marzo, bissando poi in agosto con “The True Discoveries Of Witches And Demons” (formazione allargata anche a Marc Ribot e Trevor Dunn), sophomore poco meno che devastante di cui avremo modo di parlare a breve. The Book Of Angels, il canzoniere diretto erede di Masada e sontuosamente inaugurato nel 2004, ha vissuto i suoi ultimi colpi di coda con Klezmerson e Mycale: in compenso, sono già pronte la terza appendice, The Book Of Beriah, nonché una raccolta di trecento nuovi brani sulla scia del Masada più atonale, The Bagatelles, anch’essi pensati per essere interpretati ogni volta da formazioni diverse. Ciliegina sulla torta, è stata inaugurata una serie di dischi in cui band esterne al roster Tzadik rileggono alcuni lavori scelti del capobastone. I giovani Dither hanno reinterpretato, lo scorso gennaio, gli ostici game piecesCurling”, “Hockey” e “Fencing”: in luglio, i Forro In The Dark (Jesse Harris e Sofia Rei Koutsovitis alle voci…) hanno selezionato alcune delle melodie più catchy della produzione di Zorn; James Moore, sempre di Dither, si è infine prestato per la riflessione metamusicale di “The Book Of Heads” (composto nel 1978 per Eugene Chadbourne, registrato nel 1995 da Marc Ribot), un lavoro filosofico sulle infinite potenzialità della chitarra e sugli innumerevoli stimoli esterni che ad essa possono venire applicati.

In tutto questo, gli accorti zornofili alla lettura potrebbero chiedersi: con un tale bendidio a disposizione, cui prodest parlare di “Pellucidar – A Dreamers Fantabula”, che di The Dreamers (la vera formazione-bestseller di Zorn) è la quinta uscita, la prima in quattro anni? Perché soffermarsi su un disco che, bontà loro, si può quasi tracciare, nota per nota, ancor prima della prova dell’ascolto? Risposta semplice e tranchant: perché è bello. Perché funziona. Perché, nel suo consueto rimestare di surf, easy listening, library music, western, calypso, exotica, psichedelia, colpisce nella sua complessiva freschezza, nella tenuta di una penna che aveva intessuto trame invero non così memorabili né in “Ipos” (il quattordicesimo volume di Book Of Angels), né in “A Dreamers Christmas”. La copertina, colori sgargianti e ghirigori rococò come se non ci fosse un domani, rispecchia perfettamente la natura di questa musica: che è facile e altamente fruibile, certo, ma al contempo estremamente curata, ricchissima di sfumature, affascinante nel suo suggerire mondi e dimensioni altre, romantica ed avvincente, luminosa ed abbacinante.

Chi non conoscesse The Dreamers vada subito al cuore del discorso, col fortunatissimo atto primo del 2008 ed il seguito, “O’o”, del 2009. In un’ideale trilogia, “Pellucidar – A Dreamers Fantabula” rappresenta l’anello consuntivo, il prodotto di una formazione ormai rodatissima (si ricordi che 5/6 dei suoi componenti hanno partecipato anche al recente Song Project). Come in ogni scrigno delle delizie che si rispetti, poi, ognuno avrà il brano che preferisce. Quello di chi scrive è il conclusivo, “Jewels Of Opar”, un magnetico carillon samba imperniato sul vibrafono di Kenny Wollesen, sulle tastiere di Jamie Saft e sul robusto basso di Trevor Dunn. Scommetto, tuttavia, che la ninna nanna crepuscolare della title track (dovesse essere cantata, lo potrebbero fare solo i fratelli Wilson) catturerà molti, così com’è irresistibile il paso doble di “Once Upon A Time” (exotica più exotica dell’exotica: Cyro Baptista onnipresente). “Gormenghast” è la consueta, torrida visione psichedelica della sei corde di Marc Ribot: un episodio caracollante e minimale, ma efficacissimo (ancor più di quell’“Anulikwutsayl” contenuta in “The Dreamers”). “Flight From Salem” è puro groove,  ricoperto da uno strato di riverberi e da un Wollesen che fa la spola tra il Nova Express Quartet e la romance music: una terrazza aperta sul soffuso disimpegno lounge è “A Perfume From Cleopolis”.

Se le annate davvero eccezionali si riconoscono dalla portata degli episodi, per così dire, “minori”, salvate il 2015 come uno dei periodi artisticamente più felici del sessantaduenne Zorn. Il sollievo nel risentirlo così tonico persino in progetti di contenuta ambizione è pari, forse, solo alla soddisfazione dell’ascolto.

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