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R Recensione

7/10

Bertrand Cantat

Amor Fati

Pochi nomi suscitano reazioni contrastanti come quello di Bertrand Cantat. Da un lato l’ammirazione per il percorso svolto con i suoi Noir Désir, la più grande rock band francese degli ultimi trent’anni. Nome che attraverso vari periodi – gli anni 80 ispirati dal piglio battagliero dei Clash, dal blues dei Gun Club e dalla psichedelica desertica dei Died Pretty; gli anni 90 all’insegna del grunge-crossover; i primi vagiti del nuovo secolo con un occhio ai Radiohead post-“Ok Computer” e al folk etnico – ha saputo coniugare il patrimonio musicale transalpino con le migliori istanze anglosassoni in maniera impeccabile. Ottenendo oltretutto un successo clamoroso in madrepatria, dove la loro popolarità non è tanto distante da quella dei VascoJovaLiga nostrani (che invidia!).

Dall’altro, il ribrezzo per il noto episodio di cronaca (la morte della Trintignant a seguito di violente percosse) che l’ha portato sulle prime pagine di tutti i giornali diversi anni fa, costringendolo a un coatto congelamento dell’attività causa soggiorno nelle patrie galere francesi. Cantat si è già riaffacciato sulla scena nel 2013 con il progetto Détroit, e stavolta si presenta soltanto con le proprie generalità. Nome che ancora divide, come dimostrano le polemiche divampate nell’Esagono – siamo in piena era post-Weinstein del resto – per la copertina dedicatagli dalla bibbia del rock transalpino “Les Inrockutibles”.

Lasciando a chi di dovere le valutazioni sul Cantat uomo, ci pare che Amor Fati sia un buon disco, più orientato al rock in senso ampio rispetto alle tentazioni da chansonnier di Détroit, in cui campeggiava pure una cover della “Avec Le Temps di Ferré. Piacerà innanzitutto ai nostalgici dei Noir Désir più rockettari, che apprezzeranno certi episodi aspri e viscerali, come la lunga title track (che si regge su un vibrante talking alla Henry Rollins, narrato su un ipnotico giro di basso), la combatrockiana Chuis Con”, la classica “Excuse My French e l’oasi acustica conclusiva di “Maybe I”. Chi invece prediligeva il cammino più hipster della band negli anni zero, si farà ipnotizzare da un paio di sonnacchiose radioheadate (“Ami Nuit”, “Anthracitéor”) e da un brano etno-digitale (J’Attendrai”) che prova a rinverdire i fasti della celeberrima “Le Vent Nous Portera”.

A noi gli apici della raccolta sembrano essere la sulfurea Silicon Valley”, che si snoda su un tappeto sonoro vagamente trip-hop, con Cantat che sussurra maudit e sensuale à la Gainsbourg prima di esplodere in un refrain tipicamente Noir Désir e “Les Pluies Diluviennes”, ballata con allure da chansonnier che sfocia delle parte dei Rolling Stones di “Sticky Fingers”: forse il brano in cui i testi maggiormente indugiano sui fantasmi del suo passato (tra i quali anche il suicidio della ex moglie, per non farsi mancare nulla) e sull’angoscia che deriva dall’affrontarli.

Meritano infine un discorso a parte i due momenti più radiofonici: “Ajourd’Hui”, riuscito brano pop rock a presa rapida e sguardo pindarico sulla Francia post-Macron e il primo singolo “L’Angleterre”, caustico commento sulla Brexit (con tanto di citazione di Margaret Thatcher, “I want my money back”) e più in generale sul rapporto di amore/odio da sempre esistente tra i due giganti che si specchiano sulla Manica.

Amor Fati è una espressione di Marco Aurelio e dello stoicismo romano, sta a significare il non rassegnarsi al proprio destino, ma anzi l’accettarlo dopo essersi impegnati nel seguire una via personale e unica. La strada per l’espiazione dei suoi peccati è ancora lunga e tortuosa, ma un Cantat così sereno e lucido può decisamente provarci.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 1 voto.
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fgodzilla 7,5/10

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