Jim Noir
Jim Noir
C'è un modo di fare (indie) pop che dista anni luce dalle decostruzioni ardite del cosiddetto avant pop e dalle staffilate sghembe del lo-fi, che preferisce restare al caldo delle coperte della tradizione “alta” e che mantiene la sua parvenza di contemporaneità solo grazie a qualche schizzo di postmodernismo e a qualche timida immersione nell'indietronica (rigorosamente vintage, ovviamente).
Parliamo di artisti come Kelley Stoltz, il fuoriclasse Badly Drawn Boy, i primi Ruby Suns o i nostalgici Aliens, ma si tratta solo di esempi a campione, frammenti di una galassia di amanti del pop “tondo” che non dà segno di voler implodere.
A campione potremmo prendere, ad esempio, anche il mancuniano Jim Noir: chi meglio di lui potrebbe rendere l'idea di un'immersione senza bombole nel pop di marca '60s ? E quale disco, più del suo esordio Tower Of Love, potrebbe essere portato ad esempio della vivacità che comunque questi revivalismi possono portare nella multisfaccettata discografia contemporanea ?
Due anni dopo, rieccolo con questo secondo disco senza titolo. E i modelli, è bene dirlo, restano saldamente al loro posto: i Beatles lisergici e i Pink Floyd più asciutti, i cori Beachboysiani e il piglio saltellante del miglior Donovan, l'ironia di Kinks e Lovin' Spoonful, le Farfisa unite alle Roland.
Quando il gioco gli riesce l'effetto è irresistibile: succede in What U Gonna Do, che si fa perdonare il suo calligrafico manierismo '60s con un gioiellino che pare scappato dalla borsa del menestrello di Glasgow, o in una Don't You Worry un po' Gainsbourg e un po' Beta Band dei tempi d'oro.
C'è la melodia strappalacrime (alla Girls In Hawaii, per capirsi) di Happy Day Today, che fa suoi con discreta faccia tosta i trucchi vocali dei ragazzi da spiaggia, e il synth pop al rallentatore di On A Different Shelf, improbabile crocevia tra Momus e Sebadoh.
Ma ci sono, purtroppo, anche le proverbiali ciambelle senza buco: il vocoder da Air sbiaditi di All Right e l'insipida litania pseudo-Barrett di Look Around You, appesantita da un ritornello tanto banale quanto monocorde.
A metà strada sta tutta una serie di bozzetti più o meno o riusciti ma incapaci di lasciare davvero il segno, apparentemente indecisi se affondare definitivamente nel cazzeggio o inseguire la chimerica canzone pop perfetta.
E quello che poteva essere un piccolo gioiello di retro-pop finisce con l'assomigliare piuttosto come un divertissement d'autore. Seppure l'autore in questione sia straordinariamente dotato. E nonostante siamo comunque a parecchi metri d'altezza sopra gli sterili revivalismi degli Aliens. Troppo poco comunque per dare davvero manforte ai reazionari nella loro eterna gara coi progressisti.
Tweet