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R Recensione

7,5/10

Der Noir

Numeri e Figure

I Der Noir furono una piacevole scoperta della passata stagione. Il loro album d’esordio, A Dead Summer, mi aveva infatti positivamente impressionato per la precisione, la fedeltà agli schemi, l’abilità e la creatività di tre ragazzi (Luciano Lamanna, Manuele Frau e Manuel Mazzenga), già attivi da tempo con altri progetti nella scena romana e che una volta assieme, con un nome ibrido teutonico-francese come Der Noir, avevano deciso di sposare la difficile ma intrigante causa della new wave, quella gelida e pulsante.

Dopo aver nel frattempo pubblicato una meravigliosa versione de Il mare d’inverno e girato in lungo ed in largo con il loro live, anche fuori dai confini nazionali, i Der Noir ritornano già quest'anno con un album nuovo, Numeri e Figure, sempre prodotto dalla giovane ma attenta RBL. Lo spirito è nuovo, almeno nelle premesse poi confermate dai primi ascolti. Il freddo ed il buio non sono più così ingombranti come nell’esordio lasciando posto ad una nuova vitalità che pur non distaccandosi drammaticamente dalla matrice wave e rimanendo fortemente legata a sonorità elettroniche dal retrogusto dark, rivelano nuovi orizzonti alle micidiali potenzialità del trio romano.

Apre Carry on, forse il brano più vicino per sensazioni (positive, s’intende) e atmosfere a Another Day, il capolavoro da A Dead Summer. Il basso di Frau, fluido come una colata di vernice melmosa e fredda riversata su una lamina d’acciaio inclinata e frastagliata di beat corposi di drum machine e note acide e pungenti di sintetizzatore. La voce è cupa ma si apre in slanci melodici non appena la riverberatissima chitarra decide di irrompere sulla scena con la sua luminosa melodia. Il ritmo magmatico del basso è ancora più marcato nella successiva title track, il pezzo che sarebbe entrato di diritto nel greatest hits del periodo d’oro della multiforme creatura di Renzulli e Pelù o di quella dei loro cugini Fiumani e Sassolini.

Il terzo brano in scaletta, Zero, serve probabilmente a ricordare a tutti che i tre bravissimi Der Noir, oramai due estati fa, hanno aperto nientemeno che per i Duran Duran nella data romana di questi ultimi. Qualcosa di quell’esperienza deve essere rimasto, ed è confluito nella drum machine di Lamanna e nei vocalizzi maliziosi e sfumati di Frau.

Atmosfere vagamente glo-fi introducono la “solita” (ad avercene!), squisita, paranoica malinconia wave de L’inganno, a cui va la palma d'oro come miglior brano dell'album. Il cantato è alternativamente in inglese e in italiano. La parte in italiano è più esplicita e meno criptica rispetto al recente esordio di A dead summer, dove pure erano presenti brani nella lingua del sommo poeta,  ma l’atteggiamento in generale qui si conferma rivolto ad una più agile fruibilità, come conferma l’ingresso di una tromba raffinata, dal motivo rilassante, direi perfetta, che sintonizza definitivamente l'animo dell'ascoltatore con la nuova proposta dei Der Noir. Dalle parti dei migliori Baustelle riveduti e corretti in chiave elettronica. L’elemento fiati torna poi con The Forms, il brano con cui termina il bellissimo viaggio di questo convincente secondo disco dei Der Noir, portandoci, grazie soprattutto ad un languido e nostalgico sax, in territori sophisti-pop come non te lo saresti aspettato. E se le cose belle accadono quando non te l’aspetti, si sa, hanno sempre un altro sapore. Un buonissimo sapore. Bravi Der Noir.

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Noi! 7,5/10

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