R Yankee Hotel Foxtrot
WilcoYankee Hotel Foxtrot (Nonesuch 2002)
A volte, l'immagine è tutto. Prendete l'immagine che campeggia sulla copertina di "Yankee Hotel Foxtrot", capolavoro assoluto di Jeff Tweedy, della canzone...Hanno già detto tutto i miei bravi colleghi: mi limito a precisare che questo, per quanto mi riguarda, è IL disco del nuovo millennio, se mai a qualcuno dovesse interessare. Un lavoro degno di figurare a tutti i grandi capolavori della canzone d'autore, per capacità di scrittura ed interpretative, coraggio e voglia di osare, intensità emotiva.
I Wilco approdano al loro definitivo capolavoro riscoprendo l'essenza e l'immensità degli spazi americani. Canzoni che si nebulizzano in eteree trame sonore, che si evolvono arricchendosi man mano di tenui cromatismi. La trasfigurazione del rock americano che conquista un idealismo e una riflessività mai visti prima.
Frutto anche dellincontro con la produzione di Jim ORourke, questalbum è semplicemente un capolavoro. Non solo summa di una carriera, quella di Tweedy, fondamentale per la genesi e levoluzione del country alternativo degli ultimi ventanni, ma anche incontro perfetto di tradizione e rivoluzione, di classicismo e visionarietà. Rifiutato dalletichetta, Yankee Hotel Foxtrot sopravvive per propria potenza intrinseca. E una ragnatela elettroacustica intessuta fra le categorie ed i generi, che imprigiona piccoli gioielli digitali trattenendoli solo lo stretto necessario per farli brillare. Onirico ed in qualche modo sfuggente, non si fa amare al primo ascolto. Come la donna dei sogni, va conquistato.
I Wilco sono l'America, quella che non ha paura di avere paura, quella che fa emozionare e stringere il cuore, da quanto è trasparente, e autentica. Una raccolta di Canzoni con la c maiuscola, un disco che è pensiero, religione, Storia.
R Turn OnThe Bright Lights
InterpolTurn OnThe Bright Lights (Matador 2002)
Sarà forse per il mio retaggio musicale, solidamente ancorato agli anni del grunge, ma in questa decade non sono francamente riuscito ad entusiasmarmi alla...Spesso si parla di questo disco citando le evidenti coordinate (Joy Division, Psychedelic Furs...) e ci si dimentica di parlare della sua tracklist, semplicemente perfetta.
Impossibile resistere a questo gioiello capace di unire con somma abilità le oscurità dark con i trascinanti chitarrismi wave. Da togliere il fiato, poco altro da aggiungere.
Il disco necessario per capire attraverso quale filtro questo decennio abbia riletto la new wave più scura e il post-punk più represso. Il filtro è questo, e con il tempo è diventato paradigma a sé, per raffinatezza, capacità evocativa, tenebrosità, perfezione delle linee. Poche parole. Con "Turn On The Bright Lights" diventiamo tutti Leif Erikson: diciamo cose brevi e tremiamo per l'emozione.
Un disco desordio semplicemente incredibile sotto tutti i punti di vista. Suono, voce, arrangiamenti: tutto convive in un miracoloso quanto affascinante equilibrio architettonico. Una musica che recupera le oscure e ossessive atmosfere della new wave più depressa (Joy Division in testa) e le rielabora attraverso un linguaggio rigoroso, subito unico, definito da classe eccelsa e da pari eleganza stilistica. Paul Banks canta con il timbro migliore che si possa desiderare, la sezione ritmica è semplicemente perfetta, protagonista e mai invadente, le chitarre vivono un rapporto simbiotico che non può non ammaliare. Minimale nel risultato più che nella sostanza, Turn On The Bright Lights è quello che ogni disco vorrebbe essere: confluenza di elementi che, insieme, ne creano uno nuovo ed ancora unico. Non manca niente, e infatti piace a tutti.
Il fantasma di Ian Curtis dietro l'angolo, l'ossessione per gli anni '80, l'idea fissa del dark in testa, un paio di chitarre taglienti in costante scontro-incontro e il gioco è fatto: ecco uno dei dischi rock più emozionanti del decennio. Una perla assoluta di incomparabile bellezza.
R Trust
Il crescendo "spiritual" di "Little Argument with Myself" è in assoluto uno dei momenti musicali più devastanti che vi possa capitare di ascoltare. Dopo viene tutto il resto, ovvero il periodo più ispirato di una delle band maggiormente influenti e dotate del decennio. Imprescindibile, immortale, inarrivabile.
Prendete tutti gli aggettivi che ai low si possono attribuire: lenti, scarni, distanti, tristi, glaciali, emozionanti e via dicendo. Trasformate gli aggettivi in superlativi ed avrete la descrizione di questo disco. Ilpiù tutto. Se la gioca forse solo con lesordio, altro magnifico elogio della depressione.
la migliore produzione del decennio per i Low, quasi capace di eguagliare le vette imperiose del capolavoro assoluto I could live in hope (1994). L'idea di fondo è sempre la stessa: incantevole percorso sonoro tipicamente intimista e slow-core in cui malinconia e tragicità soffuse la fanno da padrone.
R Thought For Food
Ci fosse una classifica per il disco in generale più strambo del decennio, questo sarebbe al primo posto. Limprobabile duo Zammuto/De Jong, chitarra U.S.A. e violoncello olandese, sforna un secondo album che si potrebbe pensare registrato direttamente dallaudio TV, durante un apatico zapping. Non ci sono canzoni, ma scorci di contesti esterni o interiori che si susseguono senza rispettarsi, intromettendosi con spavalderia e supponenza. Un uso poco ortodosso degli strumenti, insieme con un eclettismo compositivo che segue più che altro le leggi della narrativa, crea un mondo di contry-folk disgregato, compatto solo nella sua continuità, dove gli elementi acustici si fondono con quelli digitali e glitch. Come lignoto, affascina e seduce.
Un mondo avventuroso fatto di ricostruzioni sonore, cut-ups dissonanti, avanguardie acustiche ed esperimenti folk. Se riuscite a rinunciare al desiderio di capire tutto, diventerà il vostro piccolo tesoro.
R Super-System
Disco fondamentale per il revival new wave di inizio millennio, Super/System è un labirinto minimale di beat uniformi ed allo stesso tempo poco amichevoli. Il suono gelido ma non alieno dei Kraftwerk trova applicazione in umori di estrazione dannata, tra immagini serie dei Doors e dei Pink Floyd ed altre invece più leggere, figlie di approcci semi-seri in stile Devo. Una genuina vena pop, poi espressa pienamente nel successivo Fake French, resta in questo disco sommersa , sfilacciata nel continuo avvicendarsi di episodi ritmici e dilatazioni ambientali. Unautentica fonte cui attingere idee, o dove affogare quando non se ne hanno più
R Songs for the Deaf
Queens of the Stone AgeSongs for the Deaf (Interscope 2002)
Songs For The Deaf, terzo album dei Queens of the Stone Age, è sicuramente uno degli album rock più importanti degli anni zero. Josh Homme recluta intorno a...Il ROCK (stoner o meno), inteso come insieme di elementi votati alla propulsione ritmica. Credevamo che si fosse spento? Credevamo non fosse più in grado di generare nulla di entusiasmante? Ci sbagliavamo di grosso, perché Songs for the Deaf è una bomba!
Realizzato come un palinsesto radiofonico (e chi non sogna una programmazione radiofonica di tal fatta?), è un progetto musicale più unico che raro per gli anni zero. Potente e godereccio, saturo e selvaggio, il disco rock del decennio.
Una delle line-up più formidabili della storia del rock per il disco-manifesto dello stoner-rock da classifica. Un esempio di come si possa sprizzare sangue e sudore mantenendo un sound rude ma accessibile. Come ha detto qualcuno il vero Nevermind degli anni '00s.
R Out Of Season
Beth Gibbons & Rustin ManOut Of Season (Beth Gibbons & Rustin Man 2002)
Il titolo dice tutto: il disco uscito dalla voce di Beth Gibbons, cantante dei Portishead, e dalle mani di Paul Webb, ex Talk Talk e compagno di lei nella vita...La voce dei Portishead che incontra il folk scheletrico di Nick Drake, supportata da tocchi strumentali di raffinatissima perizia (Rustin' Man è Paul Webb, ex Talk Talk). Ne esce un disco fuori dal tempo davvero, che potrebbe essere uscito in qualsiasi epoca (persino gli anni '20 con "Tom The Model"!) e sempre sarebbe suonato intensissimo. Un erbario autunnale color vinaccia che emoziona.
R Original Pirate Material
Mike Skinner è il massimo cantastorie del rap inglese.
A Day in the life of a geezer. Mike Skinner,un Ray Davies travestito da MC e cresciuto con dosi massicce di playstation e fumo, disegna sontuosi affreschi delle odierne metropoli inglesi. Mediante un flusso di parole, umori e sensazioni semplicemente irresistibile. Le preziose basi ritmiche 2-step daranno il "la" al fenomeno grime.
R Neon Golden
The NotwistNeon Golden (City Slang 2002)
È desolante ritrovarsi in un motel dopo aver viaggiato per dieci ore filate, dopo aver visto incidenti stradali e motorini sdraiati sull’asflato con un casco...Se siete in crisi d'astinenza da Canzoni con la C maiuscola, e se ad un disco pop chiedete di abbracciare l'immortalità, provate "Neon Golden".
Markus Acher, tanto per dirne una, è l'unico musicista che in questa particolare selezione compare ben tre volte. I Notwist sono attualmente la sua occupazione principale e con questo disco - semplicemente - hanno codificato un suono (glitch-pop, indietronica chiamatelo come volete) che ha tenuto banco per un decennio intero.
Synth e banjo, rumorismi glitch e chitarre acustiche, dolore e dolcezza, caos e malinconica stasi, fredda elettronica e umanità sofferta, tutto amalgamato in una sintesi pop difficilmente ripetibile: i Notwist ci arrivano a carriera già avanzata, ma prima (e meglio) di molti altri.
R Martes
Il messicano Murcof scolpisce blocchi sonori marmorei e perfettamente levigati. Un'opera che ha tutta la stazza di un classico, esibendo un'eleganza ed una grazia irresistibili. Con spirito romantico e passionario glitch, techno e ambient si sedimentano in forme piene ed emozionanti.
R Knife Play
L'unica band in grado di raccogliere ed aggiornare l'eredità dei Joy Division. Un suono folle e malato che si nutre di post-punk e folk come fossero due cose conciliabili. Un miracolo che solo gli Xiu Xiu sono riusciti a creare (e replicare, oltretutto). In un certo senso, è musica da camera. Imbottita.
Ian Curtis wishlist, recita un loro celebre pezzo. I più credibili e originali eredi dei Joy Division.
Evitate di mettere su questo disco prima di andare in bagno a farvi la barba col rasoio. Potrebbe essere l'ultima cosa che ascoltate...
Nel marasma generato dal recupero degli stilemi new wave di inizio millennio molte band sono affogate, alcune sono dignitosamente sopravvissute, pochissime hanno fatto la storia. Prima fra queste, quella degli americani Xiu Xiu. Nientaltro che una delle voci più belle del decennio, tanto enfatica quanto credibile, costantemente in viaggio tra disperazione e romanticismo, visceralmente unita ad una musica che è una centrifuga sintetica, fuori asse e fuori controllo, di classe Talk Talk ed eclettismo art rock. Depresso ed angosciante, Knife Play ha le sembianze e le dimensioni di un problema con cui non sempre si è in grado di fare i conti. Ma sai la soddisfazione, quando ce la fai.
R Funny Creatures Lane
La psichedelia all'italiana che recupera senza imbarazzi la tradizione floydiana-barrettiana. Senza pudori, imbarazzi o incertezze. Assieme alle produzioni dei Giardini di Mirò (più tendenti al post-rock) e dei Julie's Haircut uno dei dischi più interessanti e riusciti nel tentativo di coniugare estetica psichedelica con il formato della canzone rock.
R Field Recordings From The Sun
Semplicemente puro grezzo rock'n'roll. Allo stato brado, ma davvero brado, quasi primordiale. Quello che i nostri nonni avrebbero chiamato rumore, in realtà preziosissima furia garage-rock dall'impetuosità sonora inafferrabile. Occhio a non farsi rizzare i capelli durante l'ascolto.
R Each One Teach One
OneidaEach One Teach One (Jagjaguwar 2002)
Va bene, lo confesso, signor Inquisitore. Sono in possesso di potenti allucinogeni. Se tuttora ne faccio uso? Di tanto in tanto. Dove li nascondo, mi chiede...Garage e hammond, aggiornamenti kraut, approccio "fisico" alla materia psichedelica e distorsione come se piovesse. Acidi, ossessivi e visionari, gli Oneida, con un piede nel passato e l'altro nel futuro, abitano alla fonte della neo-psichedelia.
Il capolavoro della band più importante del decennio. Una continua fucina di idee in grado di coniugare alt-rock con elettronica, post-punk e psichedelia kraut. Chiunque non abbia ascoltato fino in fondo questo disco non può dire di conoscere la psichedelia.
Psichedelia esasperata, un martello pneumatico che sfonda il cervello masticando residui di melodia e sputando puro tellurico piacere.
R Arrhythmia
Il terzo lavoro del gruppo newyorchese è una pietra angolare dellhip hop. Pubblicati da Warp (Autechre e Boards Of Canada, per dirne due), i tre membri del consorzio si appropriano della techno IDM, dei glitches e, soprattutto, dellelettronica irregolare, storta, tipica delletichetta, filtrando il tutto attraverso il proprio peculiare linguaggio. Samples inusuali quanto vari, colati nello spastico tessuto ritmico, danno vita ad un gioiello che diviene per certi versi il contraltare del senza beat Clouddead, altro pilastro dellepoca.
R ( )
Sigur Rós( ) (Fat Cat 2002)
LIslanda, terra misteriosa di paesaggi maestosi, glaciali, dai colori intensi nelle loro gamme pur così fredde. Loceano, le montagne, i geyser, la natura...Due parentesi che sembrano due grandi cuffie: alienarsi per rifugiarsi in una dimensione altra che mai come in questo disco riesce a diventare (deliziosamente) fagocitante. I Sigur Ros più alti e inafferrabili, tutti dolce onirismo e abissi senza fondo, fuori dai generi.
Tutte canzoni 'untitled', un libretto di carta velina su cui l'ascoltatore può, perversamente, tramutare in inchiostro e parole l'idioma inventato delle liriche... Un album estremo, se vogliamo, che nasce tra venti gelidi e muore nei rifugi di alcol e legno.
Post-rock a tinte nordiche per il gruppo più ammaliante e affascinante dell'Islanda. Tra umori mistici, melodie sognanti e rincorsi spirituali scorre via un disco ideale per le fredde notti invernali. Quando non si può far altro che starsene chiusi in casa a pensare a quanto sia imponente la natura e l'universo.
Il quarto ed ultimo lavoro del fondamentale collettivo canadese rappresenta anche il limite superiore del suo linguaggio. Mai gli elementi erano stati portati così vicino al punto di non ritorno. Il suono si fa più sinistro ed ipnotico, aumentano le stratificazione e la staticità, sparisce ogni idea di voce e resta solo lelogio del crescendo, lamore per le esplosioni, il tracollo dei silenzi. Musica seria, concettuale, alta. E sinistra, come mai prima dora. Eloquente, nellart work, lo schema che illustra il coinvolgimento economico delle più note etichette musicali nel mercato delle armi.