Germs
GI
Nonostante siano passati 30 anni, il dibattito su chi abbia “fondato” l’hardcore-punk è tuttora aperto: i protagonisti di allora citano le esperienze di vita più varie e richiamano artisti diversi, quasi a conferma del carattere anarchico e diffuso del movimento che ha sconquassato la musica e la società americana nel corso degli anni ’80, con un impatto per certi versi paragonabile a quello dell’hip-hop (Brian Eno parlerebbe di “scenio”: scena+genio). I nomi sono numerosi: gli interlocutori più preparati evocano magari il singolo “Out of Vogue” dei Middle Class di Santa Ana, West Coast, o ricordano il primo album che utilizza in via ufficiale il termine hardcore per definire il proprio contenuto (“Hardcore ’81” dei canadesi D.O.A.); altri ancora sbandierano i primissimi singoli dei rastafarian della Grande Mela, i Bad Brains.
Chi scrive non ha dubbi, ed aderisce a quel “filone” che attribuisce importanza centrale ai Germs di Darby Crash, prima band capace di spingere la propria musica decisamente in direzione hardcore, liberandosi quasi completamente del modello inglese, stravolto con pesanti dosi di Ramones e “appensantito” con la propria inguaribile angoscia esistenziale e con un pesante trucco dark. L’architrave della rivoluzione, pertanto, a dire di molti autorevoli appassionati porta nome e cognome ben precisi: trattasi Jon Paul Beham, in arte Darby Crash (1958-1980), il quale, folgorato in età adolescenziale da Sex Pistols e compagnia, deciderà di sposare in pieno la causa punk, trasfigurandola in una dimensione intima e personale avulsa rispetto al movimento britannico, e deformandone i caratteri essenziali in direzione espressionista, aprendo così la strada all’hardcore americano vero e proprio. Crash è stato definito in molti modi: il Sid Vicious d’oltreoceano (definizione per chi scrive calzante solo per l’epilogo, ma non sotto il profilo musicale), il poeta maledetto del punk; è stato etichettato come pazzo, criminale, anarchico, nazista, tossicodipendente, disadattato ed omosessuale; in ogni caso, si è trattato di un grandissimo artista, avulso da qualsiasi schema preconfezionato e da qualsiasi classificazione, capace, nonostante tutti i propri limiti tecnici, personali e caratteriali, di contribuire in modo determinante alla nascita di uno dei movimenti più significativi, sotto ogni profilo, degli ultimi decenni.
Non sarà il solo Crash, in ogni caso, a fare la differenza: doveroso è citare anche gli altri componenti della band, ed in particolare il chitarrista Pat Smear, capace di rileggere in chiave heavy ed adrenalinica la lezione dei Ramones, nonché la Bloom, giovane rivoluzionaria del basso, che diverrà con lei strumento cardine, designato in particolare a definire la linea melodica dei brani, laddove la chitarra, contrariamente al rock “classico”, si “limiterà” a decostruire i riff mediante spigolose e rumorose accelerazioni, prive di una direzione musicalmente compiuta e di uno sviluppo lineare. I Germs iniziano a bazzicare L.A. già fra il 1977 ed il 1978 (anno in cui pubblicano il primo EP," Lexicon Devil"), ma sarà solo con “GI”, nel 1979, che definiranno il concetto stesso di hardcore-punk. “GI” costituirà infatti un modello di riferimento imprescindibile per le future generazioni di Kids, a partire dagli altrettanto fondamentali Black Flag per proseguire con gli altri grandi nomi della West Coast, come Bad Religion, Descendents, Minutemen, per giungere sino ai Nirvana.
Il disco vanta diversi momenti clou: primo fra tutti il pezzo conclusivo, la lunga “Shut Down (Annihilation Man)” (unica composizione che superi i tre minuti), sorta di anti-suite costruita su dissonanze, grida e lacerazioni, paragonabile per certi versi ad alcune cose dei Flipper, ed in ogni caso già in grado di delineare ed aggiornare un concetto basilare per la musica alternativa che verrà, ovvero quello di “noise”. Anche “What we do is secret”, pezzo introduttivo che si esaurisce nell’arco di meno di un minuto, segna un momento cardine per tutta la storia del rock, non solo per le sferzate del basso, mai così corposo, ma anche per la ritmica incessante ed incendiaria, e per l’incredibile timbro vocale di Crash, che probabilmente fa inorridire tutti i professori del bel canto, ma che con i suoi colori adolescenziali, la sua carica di rabbia, frustrazione e disagio esistenziale, apre la strada a tutti i Westerberg e Cobain che verranno. “Land of Treason” regala uno spunto melodico fra i più significativi del disco, e travolge l’ascoltatore per quasi tre minuti, senza concedere tregua né respiro, definendo di fatto uno standard per il genere.
Bellissime anche “We must bleed”, che sfodera un ritornello elementare, costruito su 3 note contigue ripetute all’infinito (anche qui Cobain prenderà nota), ma travolto da una foga tale da suonare quasi come una rilettura in chiave punk dell’“Urlo di Munch”. “The Other newest One” è forse il capolavoro dell’album, e ne racchiude il verso più bello: “You’re not the first, you’re not the last, another day another crash” è un sofisma disfattista, epico e disperato, che esprime l’essenza stessa di Darby Crash e della sua filosofia di vita.
Prima di chiudere, riporto le parole di Dez Cadena dei Black Flag, capaci di rendere molto meglio del sottoscritto ciò che i Germs hanno rappresentato per un intero movimento: “In nessuna band ho mai sentito lo spirito, come quando l’ho sentito quando ho visto i Germs. Tanti hanno provato ad emularli, e qualcuno è stato anche in gamba. La cosa che mi piaceva di loro era che tutti i dettagli erano negativi, ma quando mettevi tutto insieme, non so come, diventava positivo.”
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