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7/10

Mondo Naif

Turbolento

Chi ci legge abitualmente, ed ha in dono una buona memoria, si ricorderà del doveroso articolo che abbiamo dedicato l’anno scorso ai Sotterranei, collettivo di band del padovano e del trevigiano sorto da una comune esigenza di socialità e creatività ed impostosi, nel giro di brevissimo tempo, come faro guida di tutta una giovane e volonterosa scena underground. Qualora, poi, l’anonimo lettore manzoniano fosse pratico anche di quella geografia, non potrà non conoscere bene i Mondo Naif, unica formazione del progetto (assieme ai Blue Shoe Strings) ad essersi presentata con un full length all’attivo (“Essere Sotterraneo”, 2011) regolarmente proposto in tutta una serie di opening live per realtà nazionali e internazionali di medio e grande prestigio (Afterhours, Fast Animals And Slow Kids, Pond, Karma To Burn tra gli altri). Parimenti, molti dei brani che compongono la scaletta del sophomore “Turbolento” (registrato lo scorso aprile nel GrooveStudio di Tommaso Mantelli dei Captain Mantell, già ne Il Teatro Degli Orrori del periodo di “A Sangue Freddo”) saranno già noti a chi ha avuto l’occasione di incrociare una recente esibizione dal vivo di Tex, Stefano e Carlo.

Per capire cos’è “Turbolento” e, sopra ogni cosa, come suona, sarà utile scorrere la lista degli ospiti che partecipano attivamente alla costruzione ed all’arrangiamento dei brani. Alberto Piccolo, una delle due chitarre dei giovani e talentuosi prog rocker veneti Glincolti, interviene su ben tre pezzi. “Vexilla Regis Prodeunt Inferni” (ah, la Commedia…) è un virtuosistico inciso acustico interamente a suo nome, cinquanta dinamici secondi di chitarra flamenco che riportano alla mente il Tim Sparks di Masada Guitar (dire Paco De Lucia sarebbe troppo facile e, tutto sommato, inesatto). L’iniziale stoner narcolettico à la Dead Meadows di “NonTempo”, esaurita la fase dei solipsismi vintage, si addormenta in una culla di arpeggi in wah. “Niente” è una nenia ipnotica modellata sul rifferama arido degli OJM: preludio, da una parte, ad un elettrizzante duello fra le sei corde (che non si concretizza) e, dall’altra, ponte gettato verso la tradizione trentennale di certo rock italiano (che emerge, con particolare nitidezza, nelle acustiche cajun di “Verve”). Sergio Pomante dei Captain Mantell scorrazza indisturbato, con un sanguigno sax vicino agli spasmi muscolari dei De Curtis, in una devastante “Aquilone”: come dei Sabbath che cercano di risciacquare col jazz rock nuove e vistose incrostazioni post-core. Nel sogno lucido hard rock di “Belfagor”, infine, i Mondo Naif scelgono di far intessere a Nicola Manzan (per la cui Dischi Bervisti il disco esce in formato fisico) puntinati e tesissimi ricami Constellation, sepolti da una gran parata doom in 5/4 e commemorati da ondate di fingerpicking mediterraneo.

L’evidente passo in avanti del trio di Montebelluna, rispetto ad “Essere Sotterraneo”, sta nell’aver rinunciato ad una considerevole porzione dell’ingombrante eredità che avrebbe rischiato di segnarli, forse permanentemente, come figlioletti dei Verdena e spassionati ammiratori degli Afterhours. Il retaggio si confonde ora tra le nebbie psichedeliche di “Scatole Magiche”, che accelera e rallenta senza soluzione di continuità: nel sognante saggio chitarristico di “Maelstrom”; nel robusto, robotico andamento del singolo “THC” (la cowbell di “Little Sister” trafitta dallo spessore dell’amplificazione).

Scrittura piena, idee (con)vincenti, intenzioni nobili. Ricordatevi di “Turbolento” e di queste parole, quando i Mondo Naif saranno famosi.

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