Yoko Ono Plastic Ono Band
Between My Head And The Sky
Torna la strega, la vedova più famosa del rock, e lo fa in grande stile riportando in vita il moniker della Plastic Ono Band, la solita profittatrice?
No dai, stavolta è per una nobile causa che non ha nulla a che fare con la beneficenza, stavolta la Ono (classe 1933) è mossa per lo più da sentimenti di generosità materna. Sean Lennon in tempi di recessione economica mondiale annuncia la nascita di una nuova etichetta discografica, la Chimera records, un disco di mamma Yoko con Plastic Ono Band è l’ideale per una promozione adeguata.
È spassoso per certi versi leggere le dichiarazioni della Ono riguardo le sessions dell’album, mi sono sempre chiesto cosa potesse significare per un figlio avere una mamma artista, eccentrica, avanguardista fuori di testa, ma evidentemente tra le mura domestiche Yoko Ono è mamma come tutte le altre: “vedere mio figlio incoraggiare i musicisti a suonare quel che sentono di fare…è stato per me come vedere New York per la prima volta”, oppure : “Sean si è mosso con gran professionalità anche nei miei confronti, dandomi il benvenuto ogni giorno e abbracciandomi ogni volta che arrivavo in studio, era da quando aveva cinque anni che non lo vedevo comportarsi così”.
Di musica Yoko Ono non parla, d’altra parte lei è una “non musicista”, sembra abbia impiegato appena sei giorni per buttare giù le coordinate delle quindici tracce del disco, lievi bozzetti che tratteggiano le misure del percorso da seguire nel suo solito stile jam-sounding.
La direzione musicale del progetto è affidata a Sean, i musicisti sono quasi tutti giapponesi: la Yuka Honda co-fondatrice di Cibo Matto, Cornelius, Yuko Araki, il trombettista Michael Leonhart, il sassofonista free Daniel Carter.
Between My Head And The Sky è il frutto coerentemente disorganico di un ensemble con la congenita inclinazione all’improvvisazione, quasi tutte le tracce sembrano ferme allo stadio di demo ottimamente prodotto, è il caso dell’apertura con Waiting For The D Train, un uptempo dal basso asciutto e martellante a metà strada tra Gang Of Four e Nirvana, il baby-Lennon mette in mostra un buon controllo dello strumento strapazzando la chitarra con accordi stoppati e rabbiosi suoni stridenti, a fare la parte del leone -anzi diciamo pure la voce del leone- è la Ono che si impegola nella ripetizione ossessiva del titolo e nella consueta serie di gridolini e gemiti (avant-qualcosa) con i quali abbiamo cominciato a familiarizzare una quarantina di anni fa.
Non solo ululati per uno degli album più accessibili della “vecchia” avanguardista di Fluxus, l’intonazione claudicante e fricchettona si materializza in Memory Of Footsteps sorretta solo da accordi staccati di piano e una tromba sordinata... per uno dei momenti più intimi del disco insieme al delizioso chamber pop di Unun.To, o anche la mesta I’m Going Away Smiling, che sfiora la dolente tensione emotiva del miglior Jacques Brel. Tutto questo e molto altro tra i solchi di Between My Head And The Sky, dal noisy groove in salsa Chili Peppers della titletrack, fino al magnetismo kraut di Calling, stravagante crocevia tra i Can e le atmosfere dei Silver Apples, o ancora l’intrigante Hashire,Hashire intrisa di umori tex mex.
Il canovaccio sonoro continua a mutare freneticamente registro con il susseguirsi dei brani, non poteva mancare la componente elettronica degnamente rappresentata da The Sun Is Down, un electro funk dai rimandi vagamente trance, ideale per il dancefloor (avrà apprezzato anche Madonna), e Ask The Elephant! un ibrido downbeat dagli spasmi acid jazz che va a posizionarsi tra gli episodi migliori della raccolta.
Disco divertente e dall’ascolto piuttosto agevole con diversi spunti e intuizioni molto interessanti, certo…non il capolavoro a quattro/cinque stelle di cui farneticava la stampa angloamericana.
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