Tv On The Radio
Dear Science
Un tepore mite e vagamente rassicurante è giunto a scaldare il gelido autunno dei Tv On The Radio. Siamo nel 2008 e stavolta si guarda più al Principe (quello nero) che al Duca (bianco). Più funky, soul, più negritudine (mai e poi mai arrogante “ghetto attitude” però), più sensualità. I cinque newyorkesi si presentano al famelico pubblico alternativo più rilassati e rilassanti che mai, con un disco screziato di colori più sgargianti e caldi. Mai troppo caldi però (d’altronde le loro visioni non sono mai troppo rincuoranti). Il suono TVOTR mantiene infatti quel fascino un po’ obliquo che aveva caratterizzato anche le opere precedenti. Ed ecco che al summenzionato Principe si avvicinano le sagome dell'allampanato Byrne e dei Talking Heads
A questo giro sono stati "semplicemente" accentuati alcuni aspetti ed elementi che nei dischi precedenti erano meno direttamente evidenziabili. Ma quella all’elemento black è una tensione che viene quasi sempre controllata. Il singolo Golden Age è comunque quanto di più funkeggiante i Tv On The Radio abbiano mai prodotto, per non parlare di Crying, con quella chitarra sbarazzina che prima ti irrita e poi ti conquista. D’altronde uno dei pregi maggiori del quintetto è quello di inserirsi negli ascolti anche di chi è completamente digiuno di black music (oppure al contrario di infilare alt-rock e wave dentro orecchie prettamente nere), certamente oltre alla mirabile capacità di accostare e personalizzare linguaggi musicali apparentemente inconciliabili, e invece, a quanto pare, vicinissimi.
In Dear Science, Le voci di Kip Malone e Tunde Adebimpe (che stavolta non sfruttano l’ausilio di troppe sovraincisioni) vengono accolte dal caldo abbraccio di musiche che distendono i propri nervi rendendosi più concave, però evitando sempre la trappola della convenzionalità o il facile accasamento in un puro sound nero. Gli ottoni suonano meno tenebrosi e più festosi, le tastiere spadroneggiano (senza però mai essere troppo “davanti”) proiettando piccoli squarci di tenebra sintetica, gli archi sopraggiungono a rischiarare le partiture con una fioca luce vagamente malinconica mentre sottostrati di freddi impasti sonori controbilanciano il calore soul delle canzoni.
Vero è che l’introduttiva Halfway Home presenta un muro del suono epicamente glaciale, stizzosi martellamenti ritmici e folate melodiche post-nucleari (che sembrano richiamare un’altra opener ben più famosa e gloriosa, cioè Airbag dei Radiohead), tali da far pensare che il combo sia rimasto sempre lo stesso, o abbia cambiato poco. Non disperate dunque, amanti dei “vecchi” Tv On The Radio! Così c’è una Love Dog sempre scura e dall’assai prezioso e studiatissimo tessuto sonoro (capolavoro di produzione -Sitek si dimostra sempre all'altezza- e arrangiamento), una Shout Out Loud che prima si inventa un inusuale trip-hop mattutino e poi getta la maschera, tuffandosi in un marasma strumentale oseremmo dire di ascendenza velvettiana, una DLZ dalla bellezza impagabile che è un po’ un compendio delle sonorità dark-soul (se così si può dire) della band.
Siamo certi che però molti ascoltatori che uscirono pazzi per Return To The Cookie Mountain non disdegneranno di accarezzare e mordere le nere rotondità di Dancing Choose (per qualche istante appaiono le ombre degli Outkast dietro i cinque, ma non abbiate paura!) e Red Dress, anche se tutto sommato non si tratta di nulla di realmente stupefacente. Invece non passano per nulla inosservati il gospel urbano di Stork And Owl corredato da dolci ricami di archi piangenti e svagati motivetti cureschi di tastierina, e la ballata per Bloc Party ormai definitivamente adulti rappresentata da Family Tree.
Lover’s Day, riflessione sentimentale pregna di lirismo passionale, di speranza come pure di disperazione, mette d’accordo tutti e propone anche qualcosa di inaspettato: un muro del suono più sottile e penetrabile, voci (inclusa quella di Kathrina Ford dei Celebration) che si rivolgono a pavimenti spalmati di malinconia così come a cieli finalmente radiosi e un finale che è una festa di flauti bucolici, rullate e fiati bandistici, cori gioiosi di ninfe e satiri che salutano il tramonto.
Cara Scienza non eclisserà la stella di Return Of The Cookie Mountain, ma è un gran bel sentire, da parte di uno degli ensemble più stimati e inafferrabili degli ultimi anni.
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