R Recensione

8/10

Lars Horntveth

Kaleidoscopic

Mi sono ispirato al modo di suonare la chitarra di Jim O’Rourke, all’uso dei contrasti di Robert Wyatt, alla giocosità degli Stereolab, alla batteria inventiva e soulful di “Take Five” di Dave Brubeck, allo sguardo non convenzionale sul pop di Joanna Newsom, al compositore di Hitchcock Bernard Herrmann e agli arrangiamenti di archi di Jean-Claude Vannier per Serge Gainsbourg

Ecco, appunto.

Questa l’idea, il proposito, la traccia. Lo svolgimento è il secondo album solista di Lars Horntveth quattro anni dopo il sorprendente debutto “Pooka”. Similmente a quanto già accaduto nel gruppo-madre di Horntveth, i Jaga Jazzist, l’evoluzione stilistica parte dall’abbandono della componente elettronica per abbracciare ampie forme di jazz-rock. Per chi conoscesse la discografia dei Jaga Jazzist (ed il relativo passaggio alla denominazione Jaga), “Kaleidoscopic” sta a “Pooka” come “What we must” sta a “The Stix”.

Le similitudini, però, finiscono qui. Perché il personaggio in questione è assai più eccentrico del collettivo del quale fa parte dal 1994. Allora, per mettere in atto il suo ambizioso progetto, decide di fare le cose a modo suo. Tanto per iniziare, l’album è composto da una sola traccia di quasi 37 minuti, registrata dal vivo in una piccola chiesa di Riga con l’aiuto dell'Orchestra Nazionale Lituana, composta da 41 elementi (34 archi, 3 percussionisti, clarinetto, flauto, arpa e bassotuba) e diretta da Terje Mikkelsen, ovvero il direttore dell’ Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo.

Kaleidoscopic” è stato composto tra l’autunno del 2006 e l’inverno 2007. Horntveth ha concepito l’opera come una sorta di diario personale, aggiornato e modificato nel tempo dall’autore stesso (e dal produttore Jorgen Traeen), con l’intento di descrivere in musica i propri umori ed il susseguirsi dei diversi stati d’animo.

Il risultato è un’opera unica, cinematica, affascinante e maestosa ma al contempo fruibile e divertente.

Inizia con un tema di pianoforte vellutato e quasi ambient, lentamente aumenta di intensità con l’aiuto dei fiati, (intorno al decimo minuto) cresce e sfocia in una sezione “pizzicata”, si evolve in una serie di pulsazioni folktroniche, (al ventesimo minuto) irrompe l’orchestra al completo, i fiati sciabordano sorretti da un tenue beat percussivo, poi si gettano in un micro-tema reiterato e inseguito dai bassi, che successivamente riparte in una serie di richiami fiati/archi spinti da percussioni impetuose e spesso incalzati dal clarinetto dello stesso Horntveth. Verso il trentesimo minuto, l’atmosfera si spegne tra arpeggi languidi, fiati jazz ed il ritorno del pianoforte.

Sia chiaro, si tratta di una descrizione sommaria e approssimativa. Ognuno troverà il suo codice, il suo filo di Arianna nel dedalo di queste mille fughe, di queste infinite melodie, di questi crescendo impetuosi e di questo perfetto fluire di sensazioni in musica, frutto della creatività e del genio di Lars Horntveth.

Ventottenne.

Autodidatta.

V Voti

Voto degli utenti: 6,3/10 in media su 6 voti.
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lev 8/10
loson 7/10
rael 4/10
REBBY 4/10

C Commenti

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lev (ha votato 8 questo disco) alle 23:51 del 16 febbraio 2009 ha scritto:

questa recensione mi aveva parecchio incuriosito, così sono andato a procurarmi questo bel dischetto, e ne sono rimasto subito affascinato. mi sa che andrò a cercarmi anche "pooka". bravo fabio... ma dove cavolo li vai a scovare??!!

loson (ha votato 7 questo disco) alle 14:22 del 14 marzo 2009 ha scritto:

Suite vagamente chill-out con massicci interventi orchestrali fra soundtrack e jazz. Tanti i riferimenti, da Bernard Hermann a Jim O'Rourke, tutti ben snocciolati nella recensione. I primi dieci minuti sono splendidi, altrettanto irrinunciabili gli ultimi 10: è la parte centrale l'anello debole dell'intero lavoro, troppo monotona e inutilmente statica. Comunque il ragazzo ha del talento vero, deve soltanto trovare la giusta misura e mantenere uniforme la qualità del suo lavoro.

Mr. Wave (ha votato 7 questo disco) alle 14:56 del 25 aprile 2009 ha scritto:

concordo col commento di Loson.