V Video

R Recensione

6/10

Marta Sui Tubi

Cinque, la Luna e le Spine

Ci provo, mi spiego, mi sforzo di scrivere una recensione sull’ultimo disco dei Marta sui Tubi, Cinque, la Luna e le Spine, senza lasciarmi condizionare, nel bene o nel male, dalla loro recentissima  apparizione all’ultimo festival della canzone italiana, si, quello di Sanremo. 

Quindi devo… dimenticare le luci, l’orchestra, le gengive irritanti della Venier, le lezioni di musica di Luzzatto Fegiz, lo sguardo intrigante di Giletti in prima fila, l’eccessiva miscela di rosso ramato nella tinta di Paolo Limiti, le domande impastate di saliva di quel simpaticone di Mollica, le farfalline, le mummie secolari, plastificate, in sontuose pellicce in platea, la réclame, l’HD sul canale 501, lo sdoganamento o il tentativo di sdoganare quanto di più autentico, intimo e realmente alternativo ed indipendente in Italia si aveva. Margaritas ante porcos o suini che devono essere educati alle perle, questo sarebbe il dilemma. Nel dubbio, non cerco la risposta e torno sul disco, e davvero dimentico, una volta per tutte, ciò che è stato.

Cinque sta per una serie di cose. Il numero degli album in studio dei Marta sui Tubi e la formazione a 5 che dura ormai da 5 anni. Annunciato come l’album più ambizioso e sperimentale della loro carriera, l’ascolto lascia subito impressionati per la notevole qualità della registrazione e del missaggio che a tratti sfiora la patinata perfezione. Niente di male, anzi. Lo metti su e l’ambiente magicamente si riempie di un suono pieno e morbido, caldo, rassicurante. Ma, almeno per una volta, vorrei partire dalle note dolenti per dedicare il finale alle cose migliori, perché il mio affetto per i Marta sui Tubi è tale da voler concedere al lettore il piacere di portare con sé ciò che mediamente rimane più impresso, le prime righe e, generalmente, le ultime.

Parto quindi dalle noti dolenti, semplicemente i pezzi che mi sono piaciuti meno, poco, per niente. La ladra sembra più che altro una cover di una ballad di successo di John Mayer piuttosto che un pezzo di quel gruppo che inconsciamente ho sempre ritenuto la versione italica dei Violent FemmesGrandine che nei cori del ritornello fa esibire l’ugola di Giovanni Gulino in performance che, sempre inconsciamente, lo collocano tra l’ultimo Battiato e Mango. Un’occasione ghiotta per rialzare l’ “emozionometro” la dà l’ultima traccia, Polvere sui Maiali. Un blues sghembo, cantato un po’ alla Tom Waits da Carmelo Pipitone, il genio della sei corde acustica più talentuoso in Italia. Un'occasione che avrebbe potuto essere sfruttata meglio se dopo una partenza più che convincente non si rinchiudesse praticamente subito in un ridondante finale pseudo-psichedelico che considerando i suoi 3:29 sa un po’ di coitus interruptus. Ma la cosa più imbarazzante è un'altra e si chiama Il Collezionista di vizi. Non so quanto le due cose siano collegabili, ma ascoltandola mi sono un po’ venute le stesse bolle sulla pelle che mi spuntarono quando ascoltai per la prima volta “Il mio corpo che cambia” dei Litfiba. Riconoscevo quella voce, ma mi sentivo come la ragazzina con l’apparecchio ai denti, bruttarella ma interessante che era stata appena tradita per la bellona simpatica ma un po’ tonta.

E’ difficile dire tutto ciò, per me che seguivo i concerti dei Marta sui Tubi quando ai concerti eravamo in pochissimi illuminati  e tutti con le ugole in fiamme nel tentare di stare dietro alle devastanti apnee liriche di Gulino, sgranando gli occhi di fronte alle extraterrene contorsioni di Pipitone alla chitarra.

All’interno delle 11 tracce delle quali è composto l’album ci sono però pezzi sicuramente validi ed assolutamente apprezzabili. Su tutti Tre, un punk blues al fulmicotone, introdotto da un assolo di batteria con forte eco, quasi da live, al quale segue una languida chitarra old blues ed un cantato impostato quasi a scimmiottare i diversi cloni italiani di Elvis degli anni d’oro. Fino a giungere ad un’esplosione pazza ed irrefrenabile di suoni e rime velocissime come solo i Marta sui Tubi in Italia hanno saputo fare. Tra le cose belle ancora Dispari, il pezzo scartato a Sanremo (niente, non ce la faccio a non pensare lì). Coro gregoriano su base folk rock,  ad introdurre un ritmo travolgente ed un'orecchiabilità da filastrocca musicata che nella sua semplicità e delicata melodia, condita da arrangiamenti da grandi occasioni, ne fanno un pezzo di assoluto spessore che induce agevolmente allo scanzonato fischiettio. Ancora decisamente valide ma un gradino sotto le due tracce appena menzionate sono Il primo volo, la prima traccia dell’album, e Vorrei. Entrambe di forte impatto emotivo e con una cura particolare degli arrangiamenti e dei testi, hanno semmai la pecca, se di pecca si tratta,  di ammiccare troppo alla melodia della canzone leggera nazionale.

Menzione a parte la merita Vagabond Home, il primo pezzo in inglese dei Marta sui Tubi, se si esclude la cover di Tomorrow never knows dei Beatles in C’è gente che deve dormire. E’ una ballad alt folk/ blues che per quanto denoti inevitabili lacune nella pronuncia, dimostra delle potenzialità che la band ha fortemente incise nel proprio DNA e che sono sicuro, curate con un certo metodo, potrebbero portare i nostri eroi a ben più ampi orizzonti. E' questo uno dei momenti più intensi dell’album con un finale in crescendo di fumi psichedelici che questa volta, a differenza di Polvere sui Maiali, è ben calibrato nella collocazione e nella durata.

Non voglio fare moralismi o discorsi sull’etica nella musica, per carità, trovo sia stupido e da stupidi farlo ora ed in questa occasione, anche se altri saranno pronti a farlo, ne sono sicuro. Certo è che se il prezzo da pagare, per noi fan della prima ora, per permettere ai Marta sui Tubi di aprirsi ad un pubblico più ampio, arrivare sulla bocca delle massaie o delle amate/odiate Dominique (questa la capiscono in pochi), arrivare a vendere un buon numero di dischi in più e permettersi un’esistenza un po’ più serena, dopo tutto non è andata poi così male. Altri in passato hanno fatto la stessa cosa, ed in termini di mera qualità del prodotto i Marta sui Tubi possono essere tranquillamente considerati quelli che si sono sdoganati meglio, quelli che hanno tradito meno il loro spirito originario e autentico. Di questi tempi, veramente, non è poco.

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 2 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

Ci sono 4 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

andy petretti (ha votato 9 questo disco) alle 3:31 del primo agosto 2013 ha scritto:

Premesso, a me di Sanremo non è mai fregato niente. Fortunatamente faccio un lavoro che non mi permette di assistere alle tristezze televisive in prima, seconda, terza, quindicesima serata. Da vent'anni di Sanremo leggo solamente, e superficialmente, i commenti sui giornali, questo mi basta, e m'avanza di parecchio. Aver saputo che quest'anno ci sarebbero stati i Marta sui Tubi mi ha fatto un po' impressione, ma del resto c'erano stati anche gli Afterhours, e Moltheni quando non se lo cagava nessuno, e sono solamente i primi due nomi che mi vengono in mente (ah, i Timoria da sbarbatelli, certo), è un discorso di perle ai porci che non mi riguarda. Sono quindi giunto all'ascolto di "Cinque..." solamente a giugno, visto che l'ultimo Carne Con gli Occhi mi aveva deluso profondamente. Che fretta c'è, mi dicevo. Dei Marta mi erano piaciuti i dischi dispari: l'esordio, fulminante, e Sushi e Coca, che prometteva sfracelli al passo successivo ma che invece. E invece, appunto. E allora? Allora qui ascolto, riascolto, e l'evoluzione della band mi ha disfatto ogni preclusione. Un concept album sulle relazioni, sulla solitudine, sulle lezioni da imparare, sugli errori ingenui, tutto suonato facendo pesare il talento di ognuno, tutto pensato in addizione piuttosto che in sottrazione. A parte Il Primo Volo, incipit della storia, parliamo di sventagliate che stanno comode sotto i quattro minuti. E mi fa ridere come i pezzi citati come migliori del disco dal pur bravo Franz, a me risultino i più deboli dell'insieme. Vorrei (che paga Sanremo, molto più di Dispari), Tre, Vagabond Home (se un punto di forza è la dialettica nella lingua madre, o mi diventi bilingue e spari metafore fulminanti anche in inglese, oppure risparmiaci) e Polvere sui Maiali sono pause di un lavoro altrimenti geniale in maniera assoluta. Dispari è meravigliosa per il suo senso di frustrata superiorità, e i nostri mica buttano dentro i Motorpsycho a caso: eccoli a fare loro da splendidi allievi in Maledettamente Bene, a mostrare come si può far musica adulta anche in un campo bambino come quello italiano. Poi devo dare ragione a Franz quando lamenta la reminiscenza dei Litfiba con Il Collezionista di Vizi, in toto, però in senso buono: è tutto più veloce, più compatto, senza assoli alla Ghigo a sputtanare la tenuta del pezzo. Buttaci dentro brani riflessivi come La Ladra (che mi ricorda Vecchi Difetti, ma da adulto) e Grandine, con la sua critica alla morte della poesia e della fiducia, e il mio parere è che Cinque... sia l'album più coeso, più compatto, più riuscito dei Marta. Bello il modo in cui hanno cominciato a sperimentare con l'elettronica, splendido il tentativo di non lasciare un attimo di silenzio in quello spazio di tempo in cui si sono costretti. Non ci sono pause, non ci sono paure. Forse sono diventati più accessibili, ma non sono diventati più commerciali. Sono cresciuti. Maturati. Da giorni volevo dire la mia, se non fossero le tremmezza del mattino probabilmente direi anche di più. Mi limito a dire che per quanto mi riguarda, in attesa di nuove esperienze fulminanti, dopo un sincero centinaio di ascolti, Cinque... è per ora l'album italiano dell'anno. Applausi ed un inchino.

Franz Bungaro, autore, alle 8:36 del primo agosto 2013 ha scritto:

Andy, innanzitutto complimenti per quello che dici. Non capita mica spesso, anzi quasi mai, che un giudizio in controtendenza rispetto alla recensione sia così bene e garbatamente argomentato. Quindi grazie! Per il resto, ti confesso che io 100 ascolti all'album non li ho concessi, al massimo 5 o 6, e che forse dopo 100 ascolti anche a me sarebbe entrato profondamente nel cervello. Altri album dei Marta, che, sia detto per inciso, sono tra i miei gruppi italiani imprescindibili, mi sono entrati dentro e non ne son mai più usciti, molto più velocemente (essenzialmente, i primi 3), questo invece, pur essendo un buon album, manca secondo me della fiammella che te lo fa sentire tuo dopo pochi ascolti. Poi, tutto e soggettivo, si sa, nella vita come nella musica. E se tu dici che questo è il tuo album preferito, io ci credo e rispetto la tua emozione, specie se hai trovato tempo e modo di raccontarlo così bene!

Franz Bungaro, autore, alle 11:46 del primo agosto 2013 ha scritto:

P.S. Quanto alla questione "album italiano dell'anno", se non lo hai ancora fatto, ti consiglio di buttare un orecchio a Basile, ai Mombu, agli ZUES!, ai Bachi da Pietra, C+C=Maxigross, Blue Willa, Valentina Gravili, Teho Teardo e Blixa Bargeld...e potrei continuare per cose italiche secondo me di valore assoluto migliore rispetto a questo disco, secondo me!

andy petretti (ha votato 9 questo disco) alle 2:16 del 2 agosto 2013 ha scritto:

Innanzitutto ti ringrazio per i consigli musicali, che andrò a sperimentare il prima possibile. Poi, è chiaro che uno non può ascoltare un disco cento volte prima di farsi un'opinione. Il mio gusto musicale nasce da un'intuizione improvvisa, da un accordo che mi attrae mentre sto facendo tutt'altro e mi fa dire "aspetta un po'"; il primo ascolto di Cinque... è stato così, nel bel mezzo di una traduzione stupida. Non mi aspettavo un granché, però una chance ai Marta non si può negare. Confesso che la prima canzone che mi ha fatto fermare e riflettere è stata I Nostri Segreti, che è secondo me la più semplice, la più commerciale se preferisci. Da lì ho iniziato a prestare attenzione. Allora ho iniziato a scorgere il filo conduttore, la struttura, il motivo che legava l'album nel suo insieme. Tutto il resto è venuto da sé. E' logico che non dovendo recensire una mazza gli abbia prestato tutto il tempo che ci voleva, e la mia analisi deriva dallo sviscerare (con le mie regole, perché come dici giustamente tu ogni cosa è soggettiva) quel che dell'album mi ha colpito, ripetutamente, fino a lasciare un segno definitivo.

Ascolterò i tuoi consigli (anche se ti dico già che Quintale l'ho già ascoltato e accantonato, e di Basile apprezzo certi colpi di genio, ma dell'insieme non mi resta quasi niente), e se sarà il caso stai certo che avrò modo di ringraziarti