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R Recensione

8,5/10

Archie Shepp

Mama Too Tight

Pochi musicisti hanno segnato un’epoca come il tenorsassofonista di Philadelphia Archie Shepp.

Perché Archie ha tolto la maschera alla musica free jazz, rendendo manifesto il suo sottointeso di dissidenza culturale e politica, il suo implicito afrocentrismo.

Shepp è il musicista jazz impegnato per eccellenza: anche Trane (il suo maestro) dedica la meravigliosa “Alabama” alle lotte dei fratelli neri, e poi celebra un lungo rituale orgiastico e pan-confessionale (“Ascension”) per irrobustire di tensione politica il suo linguaggio religioso, ma nel complesso conserva una posizione più defilata. E poi John è un bravo ragazzo, un buono con la testa sulle spalle: il Reverendo King della musica libera.

Shepp invece è il Malcolm X del jazz. La sua intelligenza è altrettanto formale e completa, il sassofonista è forbito ed enfatico tanto quanto il leader della rivoluzione.

Ma soprattutto, quando imbocca il sassofono, Archie è spietato quanto lo era il fratello Malcolm nei suoi comizi e nei suoi acuti saggi che indagano la società americana.

Archie è il padre spirituale di una grossa fetta di futuro: gli devono molto poeti esaltati come Chuck D (“Public Enemy numero one”), ma anche – per fare solo un esempio – alcuni rasta bianchi (Pop Group), innamorati persi dell’afflato futurista e dell’espressionismo selvaggio che prorompe dal suo jazz pazzo.

In teoria, Duke Ellington è un musicista e un intellettuale agli antipodi: ha dedicato quello che per molti è il capolavoro della musica afroamericana nei secoli dei secoli (“Black, Brown & Beige”) alla travagliata storia del suo popolo, ma parliamo sempre di un figlio della borghesia nera, che anela la piena integrazione, evitando accuratamente uno scontro frontale con la cultura dominante.

Insomma, Archie non dovrebbe avere troppa stima, politicamente parlando, del supremo Duca.

Invece, un ascolto anche distratto di “Mama Too Tight” è sufficiente per far traballare l’assioma. Shepp forse non condivide i metodi concilianti del direttore, ma non può fare a meno di inchinarsi davanti alla sua frastornante creatività musicale, che segna – volente o nolente – un momento di rottura chiave per la storia dell’arte e della cultura afroamericana. Un momento da cui anche i rivoluzionari non possono proprio prescindere.

Arrivo al dunque: la dimensione orchestrale e la ricchezza policromatica della musica di Shepp vengono troppo spesso messe in secondo piano dal suo contributo alla lotta, e si tratta di un errore, perché Archie va inserito fra i grandi del bandismo (non varrà un Gil Evans e tantomeno un Mingus, ma ecco credo non sia troppo lontano).

Mama Too Tight,” in tal senso, è un disco illuminante. Shepp non ha ancora varcato la soglia del totalitarismo all black che farà grande “Attica Blues”, e resta affezionato al suo jazz. Ma questa volta incardina le brutali dissonanze del suo tenore, le raffiche di note ruvide e chiassose, dentro strutture classiche e più razionali.

Insomma, stordisce ancora, ma lo fa dopo averti conquistato. La musica rimane una fedele traduzione dell’ambiente sociale irrequieto e disarmonico che l’artista tocca ogni giorno con mano, ma in questo caso il linguaggio di rottura si inserisce con disinvoltura in un’impalcatura più tradizionale ed equilibrata.

L’organico è ricco di top players: al basso c’è Charlie Haden, al trombone l’enorme Grachan Moncur III, alla tromba Tommy Turrentine. Intervengono anche basso tuba e clarinetto, oltre naturalmente a sax tenore e batteria.

Il primo brano (“A Portrait of Robert Thompson (As a Young Man)”), di fatto un medley improvvisato sul tema base di “Prelude to a Kiss” del Duca, seguito dalla torrenziale “The Brak Strain-King Cotton” e da “Dem Basses” (firmate Irving Gordon, Irving Mills/ Archie Shepp), amalgama l’eleganza impressionista della musica di Ellington con l’uragano di note sprigionato dal sax di Shepp (forse mai così ispirato) in un arcobaleno.

Diciotto minuti di bandismo fratturato da improvvise voragini di rumore, con la batteria violentata e i fiati che si fronteggiano senza esclusione di colpi, prima di andare ognuno per la propria strada: così tanta roba che dopo cento ascolti ancora non riesci a credere alle tue orecchie.

I brani successivi sono più brevi, ma altrettanto avvincenti: il breve proclama dei fiati di “Theme For Ernie” è piccolo miracolo di soffice armonia, mentre la title-track è la jungla di Ellington in versione scomposta. La conclusiva "Basheer", ricca di cambi di passo e incredibilmente varia, riesce ancora nell'impresa di conciliare le due visioni (il Duca e Archie naturalmente): la stessa timbrica soffusa del trombone evoca il sound di Ellington, per dire, ma ancora una volta il suo raziocinio viene sfigurato dalla libera improvvisazione.

La durata contenuta può facilitare l’approccio anche ai non adepti: quindi, prego, chi ancora non si è convertito faccia pure conoscenza con Malcolm, credo sia un’esperienza da fare.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 3 voti.
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FrancescoB, autore, alle 13:20 del 27 settembre 2014 ha scritto:

Forza jazzofili, il buon vecchio Archie aspetta le vostre considerazioni. Paul & C., dove siete finiti?

Totalblamblam alle 17:47 del 27 settembre 2014 ha scritto:

ne ho quattro con me di shepp : questo, fire music , the way haed e attica blues. che dire sono dei caposaldi del genere free. chi ama il jazz li possiede. il duca sta alla storia del jazz come bach sta quella della musica occidentale. se non si conoscono a menadito questi due è meglio tacere e scrivere di poesia. qui in mama c'è anche un lavoro incredibile nella rivisitazione del sound delle big bands ergo i germi del jazz di new orleans. Questo lavoro apre anche al jazz a venire della Carla Bley.

FrancescoB, autore, alle 17:58 del 27 settembre 2014 ha scritto:

Sono d'accordo, fra gli altri lavori importanti c'è "The Magic of Ju-Ju", mentre altrove Archie si perde un po' in onanismi vari (tipo con "Three for a Quarter" o Four For Trane": minuti su minuti di dissonanze e bruscherie che però non hanno 1/10 del mordente di questo lavoro o degli altri che citi).

Felice che ti piaccia comunque Gassed, e felice che tu condivida certe considerazioni, visto che sei il jazzofilo numero uno qui dentro

Alessandro Montagner alle 21:23 del 6 aprile 2019 ha scritto:

Riassumendo, caro Francesco Buffoli:

1. Nel 21° secolo ti ostini a scrivere (ripetutamente) "Malcom X"

2. L'errore rimane in bella vista per 5 anni

3. Oggi posto una risposta facendo notare che predichi un intellettuale di cui non riesci neppure a scrivere il nome corretto

4. Nel giro di qc ora correggi finalmente il testo, e

5. Fai sparire il mio commento?

Complimenti... ignoranza E coda di paglia.

Utente non più registrat (ha votato 6 questo disco) alle 0:38 del 7 aprile 2019 ha scritto:

Dico la mia...

ad una segnalazione corretta, dopo aver corretto la scheda, si può reagire in due modi: ringraziando il "segnalatore" lasciando il commento, o togliendo il commento della segnalazione - che sennò segnalerebbe come sbagliato qualcosa che è stato "corretto"... e F.B. ha optato per la seconda, non credo sia questione di coda di paglia...

Poi il fatto non credo sia in fondo così grave... come sulle sigarette Marlboro c'è la 'r' davvero sfuggente, così la 'l' di Malcolm X (e anzi ho scoperto oggi col tuo commento come si scrive davvero il nome del politico americano...)

FrancescoB, autore, alle 10:07 del 8 aprile 2019 ha scritto:

Ecco, peraltro si trattava di problema di correttore automatico, ho rimediato in ritardo e chiedo venia, ma non è molto più grave, offensivo e arrogante intervenire ripetutamente con tono professorale per rimarcare una sciocchezza (evidentemente dovuta a un errore di battitura), anziché magari parlare del disco e poi - con educazione - far notare che Malcolm è stato scritto per errore con una lettera in meno? Anche perché questo articolo è dedicato ad Archie Shepp e non a Malcolm X. Insomma, come sempre, quando si ha a che fare coni i precisini ignoranti (perché nel merito il personaggio non ha speso una parola), tanto rumore per nulla.

Alessandro Montagner alle 10:14 del 7 aprile 2019 ha scritto:

Forse per te non è grave non vedere la R nel marchio delle sigarette che magari hai in tasca tutti i giorni (spero di no), ma in un articolo culturale citare come caposaldo un intellettuale di cui si sbaglia sistematicamente il nome significa non essersi presi nemmeno la briga di guardare le copertine dei suoi libri. È grave?

Onestà prevede che si riconosca la mancanza e si ringrazi.

FrancescoB, autore, alle 9:55 del 8 aprile 2019 ha scritto:

Ho corretto una svista risalente a diversi anni or sono. Per il resto, mi spieghi il senso del tuo intervento da persona arrogante, saccente, che naturalmente non ha speso una parola sul contenuto dell'articolo (perché non sei in grado di farlo, naturalmente), ma che si prodiga nel far notare un errore di battitura con toni di un'arroganza sconfortante?

So perfettamente come si scrive il nome di Malcolm X, di cui ho letto diverse opere (tu?), evidentemente si trattava di un errore di battitura che poteva essere evidenziato con educazione (ammesso che fosse importante farlo), magari dicendo anche qualcosa del disco o dell'artista (ma come potresti, se non sai nulla?). Invece, da perfetto arrogante quale sei, intervieni ripetutamente per rimarcare una sciocchezza. Cosa vuoi, un premio? Il tuo messaggio è totalmente inutile, il tuo celolunghismo è penoso e la tua maleducazione è sconfortante.

Ora, dato che non sono come te, ma sono una persona civile, attendo riflessioni sul disco e sull'artista.

Giuseppe Ienopoli alle 10:25 del 8 aprile 2019 ha scritto:

Secondo me è un parente di Malcolm X ed è venuto per scrivere 237 recensioni ... una più di te e senza errori d alcun genere (sigh&sob!) ...

FrancescoB, autore, alle 13:27 del 8 aprile 2019 ha scritto:

La prossima volta citerò Marteen Lutter Ching così saremo tutti più sereni e nessuno potrà rimproverarmi a ventidue anni di distanza

Utente non più registrat (ha votato 6 questo disco) alle 0:30 del 29 febbraio 2020 ha scritto:

No beh, io l'articolo con Marteen Lutter Ching lo voglio ancora vedere, cosa credi? 😜

Alessandro Montagner alle 18:10 del 10 aprile 2019 ha scritto:

Guarda, sono certo che stizza e attacchi personali infondati siano alla base di una proficua disamina di questo o qualsiasi altro argomento. Non ne vedo però il motivo, quando la mia era solo una doverosa segnalazione. L'etichetta in questi casi prevede un errata corrige e non una scenata isterica, ma questi sono dettagli. Non si è capito ad ogni modo a cosa hai deciso di attribuire la colpa: svista? Errore di battitura? Correttore automatico? (LOL)

In effetti non si tratta di nessuno di questi, ma di un vecchio vizio italiano: https://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/speciale_malcolm_x.htm

Poi vabbe', ovvio che non stai scrivendo la Penguin Jazz Guide (che consiglia proprio Four for Trane), ma se non ti prendi nemmeno il tempo di rileggere quello che scrivi viene da chiedersi quali siano gli standard del blog. Certo, se l'importante è la quantità e non la qualità...

FrancescoB, autore, alle 18:22 del 10 aprile 2019 ha scritto:

Va tutto bene, ma non ti metti a ridere da solo quando ti rileggi ("attacchi personali infondati": ma LOL).

Per il resto ribadisco: aspetto volentieri una considerazione nel merito, però capisco che sia più facile (per i precisini ignoranti e arroganti come te, naturalmente) continuare ad attaccarti al nulla (credo si tratti di abitudine, nel tuo cervello quello c'è). Ah, questo non è un blog, impara la precisione sulle cose serie, fenomeno. E sì, per quanto possa stupirti, io ho scritto anche su riviste jazz cartacee e non solo, ma gli suggerirò di rivolgersi a te la prossima volta, riporterai correttamente tutti i nomi, del resto sei un gegnio, mica un precisino ignorante e arrogante.

fabfabfab alle 14:40 del 12 aprile 2019 ha scritto:

Mamma mia proprio niente di meglio da fare eh

zagor alle 15:28 del 12 aprile 2019 ha scritto:

ahahaha ma infatti...ma poi povero Francesco, avrà scritto 100 recensioni solo di jazz qua dentro e deve giustificarsi per un refuso.

Giuseppe Ienopoli alle 10:44 del 13 aprile 2019 ha scritto:

... non rimane che mettersi davanti allo specchio e rivolgersi all'avvocato di fiducia ... sul piatto c'è Louis ...

Utente non più registrat (ha votato 6 questo disco) alle 8:14 del 17 agosto 2020 ha scritto:

Musica, fondamentalmente, senz'anima. Pur apprezzando la bella recensione, non mi trovo d'accordo sul giudizio di questo disco che pur mi dovrebbe (?) piacere - ma che non ci riesce. Sembra che tutto manchi di una vera poetica personale (e qui quanta differenza con Trane!), che tutto segua i tempi più che anticiparli, che ricalchi maniere già battute più che guidare una rivoluzione - come ci si dovrebbe aspettare dal "Malcolm X del jazz". Insomma, per me i geni del jazz sono altri.

FrancescoB, autore, alle 13:47 del 17 agosto 2020 ha scritto:

Genna' con un pugno sul naso mi avresti fatto meno male ghghgh

Shepp senz'anima? Ahi ahi, non ci siamo proprio eh

Magari questo lavoro non fa per te, ma hai provato "Fire Music" e "Attica blues", ovvero due pietre miliari della musica del '900 in ogni senso possibile?

Utente non più registrat (ha votato 6 questo disco) alle 21:24 del 17 agosto 2020 ha scritto:

Fire Music l'avevo sentito qualche mese fa per la seconda volta, ma non mi ha mai detto granché... ma in futuro gli darò un'altra possibilità, puoi starne certo.

Credimi, mi dispiace parlare in questo modo, anche perché Sheep dovrebbe essere proprio uno dei beniamini della critica anti commerciale - cosa che, ormai si è capito, dovrebbe spingermi ad apprezzarlo. Però in questo album ci vedo troppi "nì". Il chaos di "Potrait" ha ben poca poesia rispetto al miglior Ayler o al Trane di Ascension, per dire, e non ha la carica rivoluzionaria del Coleman di Free Jazz... e il bandismo mi pare più pacchiano che comunicativo. Ma un po' tutto il disco ha quel che di... fuori fuoco. Ecco il punto: mi sembra tutto sfocato. Come un talentuoso illusionista circense che si è preparato una variegata ed avvincente scaletta, ma con tutti i numeri che fanno cilecca. Limite mio, può darsi.

Per "Attica Blues" però ho più aspettative, stiamo a vedere.