Archie Shepp
Mama Too Tight
Pochi musicisti hanno segnato unepoca come il tenorsassofonista di Philadelphia Archie Shepp.
Perché Archie ha tolto la maschera alla musica free jazz, rendendo manifesto il suo sottointeso di dissidenza culturale e politica, il suo implicito afrocentrismo.
Shepp è il musicista jazz impegnato per eccellenza: anche Trane (il suo maestro) dedica la meravigliosa Alabama alle lotte dei fratelli neri, e poi celebra un lungo rituale orgiastico e pan-confessionale (Ascension) per irrobustire di tensione politica il suo linguaggio religioso, ma nel complesso conserva una posizione più defilata. E poi John è un bravo ragazzo, un buono con la testa sulle spalle: il Reverendo King della musica libera.
Shepp invece è il Malcolm X del jazz. La sua intelligenza è altrettanto formale e completa, il sassofonista è forbito ed enfatico tanto quanto il leader della rivoluzione.
Ma soprattutto, quando imbocca il sassofono, Archie è spietato quanto lo era il fratello Malcolm nei suoi comizi e nei suoi acuti saggi che indagano la società americana.
Archie è il padre spirituale di una grossa fetta di futuro: gli devono molto poeti esaltati come Chuck D (Public Enemy numero one), ma anche per fare solo un esempio alcuni rasta bianchi (Pop Group), innamorati persi dellafflato futurista e dellespressionismo selvaggio che prorompe dal suo jazz pazzo.
In teoria, Duke Ellington è un musicista e un intellettuale agli antipodi: ha dedicato quello che per molti è il capolavoro della musica afroamericana nei secoli dei secoli (Black, Brown & Beige) alla travagliata storia del suo popolo, ma parliamo sempre di un figlio della borghesia nera, che anela la piena integrazione, evitando accuratamente uno scontro frontale con la cultura dominante.
Insomma, Archie non dovrebbe avere troppa stima, politicamente parlando, del supremo Duca.
Invece, un ascolto anche distratto di Mama Too Tight è sufficiente per far traballare lassioma. Shepp forse non condivide i metodi concilianti del direttore, ma non può fare a meno di inchinarsi davanti alla sua frastornante creatività musicale, che segna volente o nolente un momento di rottura chiave per la storia dellarte e della cultura afroamericana. Un momento da cui anche i rivoluzionari non possono proprio prescindere.
Arrivo al dunque: la dimensione orchestrale e la ricchezza policromatica della musica di Shepp vengono troppo spesso messe in secondo piano dal suo contributo alla lotta, e si tratta di un errore, perché Archie va inserito fra i grandi del bandismo (non varrà un Gil Evans e tantomeno un Mingus, ma ecco credo non sia troppo lontano).
Mama Too Tight, in tal senso, è un disco illuminante. Shepp non ha ancora varcato la soglia del totalitarismo all black che farà grande Attica Blues, e resta affezionato al suo jazz. Ma questa volta incardina le brutali dissonanze del suo tenore, le raffiche di note ruvide e chiassose, dentro strutture classiche e più razionali.
Insomma, stordisce ancora, ma lo fa dopo averti conquistato. La musica rimane una fedele traduzione dellambiente sociale irrequieto e disarmonico che lartista tocca ogni giorno con mano, ma in questo caso il linguaggio di rottura si inserisce con disinvoltura in unimpalcatura più tradizionale ed equilibrata.
Lorganico è ricco di top players: al basso cè Charlie Haden, al trombone lenorme Grachan Moncur III, alla tromba Tommy Turrentine. Intervengono anche basso tuba e clarinetto, oltre naturalmente a sax tenore e batteria.
Il primo brano (A Portrait of Robert Thompson (As a Young Man)), di fatto un medley improvvisato sul tema base di Prelude to a Kiss del Duca, seguito dalla torrenziale The Brak Strain-King Cotton e da Dem Basses (firmate Irving Gordon, Irving Mills/ Archie Shepp), amalgama leleganza impressionista della musica di Ellington con luragano di note sprigionato dal sax di Shepp (forse mai così ispirato) in un arcobaleno.
Diciotto minuti di bandismo fratturato da improvvise voragini di rumore, con la batteria violentata e i fiati che si fronteggiano senza esclusione di colpi, prima di andare ognuno per la propria strada: così tanta roba che dopo cento ascolti ancora non riesci a credere alle tue orecchie.
I brani successivi sono più brevi, ma altrettanto avvincenti: il breve proclama dei fiati di Theme For Ernie è piccolo miracolo di soffice armonia, mentre la title-track è la jungla di Ellington in versione scomposta. La conclusiva "Basheer", ricca di cambi di passo e incredibilmente varia, riesce ancora nell'impresa di conciliare le due visioni (il Duca e Archie naturalmente): la stessa timbrica soffusa del trombone evoca il sound di Ellington, per dire, ma ancora una volta il suo raziocinio viene sfigurato dalla libera improvvisazione.
La durata contenuta può facilitare lapproccio anche ai non adepti: quindi, prego, chi ancora non si è convertito faccia pure conoscenza con Malcolm, credo sia unesperienza da fare.
Tweet