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R Recensione

7,5/10

Jesu / Sun Kil Moon

Jesu - Sun Kil Moon

"And I love making music, making people laugh, and making sure that my band gets paid

And on the very bright side I think I love gulf coast oysters and crawfish and springtime in New Orleans"

A mostrar sempre i muscoli si rischia di non fare più paura a nessuno. Questo perché come in tutte le cose, anche le più strane ed eccezionali, la ripetitività genera assuefazione. Per il bene infinito che vogliamo al musicista, possiamo solo sperare che non venga schiacciato dal personaggio. Perché, fatta salva l'ispirazione ed il fascino integro del Mark Kozelek musicista, negli ultimi tempi si è parlato molto solo del Mark Kozelek personaggio. Un po' è colpa nostra, che perdiamo tempo a leggere e commentare le notizie su Facebook quando potremmo ascoltare un buon disco, ma un po' ci mette del suo, l'orso Kozelek. Non è mai stato un simpaticone, ma ogni volta che usciva un disco dei Red House Painters prima e dei Sun Kil Moon poi, ci si dimenticava di quanto fosse stronzo e ci si scioglieva nelle sue melodie e nei suoi testi. Da qui al giustificare un pezzo in cui racconta di quella volta in cui ha mandato a fare in culo il suo gommista ce ne passa. Perché siamo quasi a quel livello. Dio benedica il rock n' roll, e se vuoi cantare una canzone che ripete all'infinito che Adam Granduciel dei The War On Drugs debba succhiarti il cazzo (aspetta, aspetta, si chiama Granduciel!? "Grand Uccel/suck my cock"?) fallo pure. Se poi vuoi scazzare con una giornalista di Pitchfork (che ti cambia il voto al nuovo disco dimostrando di avere una redazione di bambocci), va bene. Adesso però non scrivere dischi basati su queste storielle però, altrimenti fai il loro gioco. E rischi di parlarti (e cantarti) addosso.

Si potrebbe liquidarlo così, il Mark Kozelek post-"Benji". Perché già "Universal Themes" subì un certo "mobbing" per via dei temi trattati (che erano ben poco universali). Oppure si potrebbe tentare una chiave di lettura diversa, soprattutto se la musica (perché è di questo che si dovrebbe parlare) è quella contenuta in questo disco. E allora diremmo che Mark Kozelek ha sempre parlato di sé stesso e delle sua quotidianità, solo che ormai ha quell'età in cui si applica la logica aristotelica che deduce il particolare dall'universale. E quindi anziché "parlare d'amore" si parla dell'innamorata, oppure per trattare il tema della morte si narra la storia di "Carissa". Più in generale, si perdona a Kozelek una certa "logorrea" narrativa e musicale, che egli stesso tende a "spezzare" mettendo le sue storie al servizio della musica di alcuni amici, quasi un modo di "farsi raccontare", di prendersi una pausa (almeno musicale) da sè stesso. Sebbene sia notoriamente uno stronzo infatti, Mark Kozelek ha l'esigenza di qualcuno che gli copra le spalle: per questo motivo ha ricreato una band dopo la breve parentesi solistica post-Red House Painters, e per la stessa necessità collabora spesso con i suoi amici. Solo nel 2013 ha pubblicato due dischi, uno in coppia con Jimmy Lavalle ("Perils from the Sea") e uno con Desertshore. L'anno scorso arrivò la collaborazione "poetica" con Nicolas Paul. Oggi, dopo meno di sei mesi, rieccolo con l'amico Justin Broadrick. Sono dischi, questi, annunciati e pubblicati nell'arco di pochi mesi. Come se rispondessero esclusivamente alla necessità "narrativa" e considerassero la musica come mero elemento "di supporto". Più che dischi, sonorizzazioni delle parole in libertà di Kozelek. Eppure (o per questo motivo) vengono fuori dischi musicalmente splendidi. Anche perchè i "sodali" non sono certo dei pischelli: Justin Broadrick, ex Napalm Death, ex Godflesh e attualmente impegnato nei suoi Jesu, è un musicista navigato, capace di traghettare le sonorità metal verso drone distorti e magnetici. E - se ricordate - lo stesso Kozelek era uno che seguiva dal vivo gli Ac/Dc e gli dedicava dischi di cover, per dire che una bella distorsione applicata sulla chitarra non l'ha mai disdegnata, soprattutto nei dischi dei Red House Painters quando univa la sensibilità slow alle bordate shoegaze (la cito ancora una volta e basta, "Strawberry Hills" dall'album "Rollercoaster").

Infatti, l'iniziale "Good Morning My Love" parte proprio dagli accordi elettrici e dilatati dei Red House Painters che Kozelek lascia a Broadrick per dedicarsi completamente alla narrazione: se la prende un po' con tutti, e mentre racconta di una mattina qualunque ("sono andato in banca a pagare le tasse ... poi abbiamo rivisto il match De la Hoya-Mayweather") e cita pugili a pioggia (Naseem Hamed, Pacquiao, Marco Antonio Barrera, Johnny Tapia) dice la sua sull'impegno sociale ("Ho incontrato una ragazza di 19 anni che dice di essere impegnata contro le ingiustizie sociali e il femminismo. Mi ha chiesto che cosa sia importante per me. Le ho risposto la mia famiglia, i miei amici e il mio dentista che ha appena avuto un aneurisma") e anche sui collezionisti di vinili ("Uno si è arrabbiato con me perchè voleva una copia rara in vinile. Per favore sii originale e chiedimi qualcosa che mi faccia sorridere. E' fantastico che tu sia appassionato di cartone e ti piaccia ascoltare la musica su plastica stampata e colorata. Sei un collezionista di vinile, un fanatico totale, questo è molto alla moda, fottutamente fantastico. Ma io sono molto più interessato a come mi sento"). Gli stessi accordi assumono contorni più duri (poichè tecnicamente "stoppati") nella successiva "Carondelet" che a dire il vero scorre in modo piuttosto anonimo (è Isaac Brock quello che canta? Ah no è Mark Kozelek che gioca ad imitarlo!). "A Song of Shadow" si ispira all'omonimo libro di John Connolly e ripropone in sostanza un pezzo classico di Justin Broadrick che permette a Kozelek di alzare il tono e sfogarsi un po'. Infatti subito dopo c'è una sorta di pacificazione: l'elettronica scarna di "Last Night I Rocked The Room Like Elvis And Had Them Laughing Like Richard Pryor" ricorda la collaborazione con The Album Leaf, e se da un lato Broadrick è perfettamente a suo agio tra drum machine e chitarre cariche di delay, Kozelek non è da meno a sfruttare come testo del brano la lettera di un fan. Potrà anche non piacere (o forse piace per questo perchè, secondo Kozelek "Le persone amano i cattivi e io sono un bersaglio facile") ma mette in evidenza cosa possano permettersi questi due.

Le chitarre acustiche che hanno accompagnato gran parte della discografia dei Sun Kil Moon arrivano solo con "Fragile" (ehi aspetta, non è Will Oldham quello che fa i cori in sottofondo?) e si scivola via tra altre bordate elettriche ("Sally") e collaborazioni prestigiose (Rachel Goswell degli Slowdive in "Father's Day") fino alla già nota "America's Most Wanted Mark Kozelek and john Dillinger", ambientata in Italia ("sula strada tra Perugia e Vasto" ... "ho mangiato dei pomodori romani" .... "ho mangiato con il nostro autista Francesco" .... "many many many capuccino") dolorosa nel suo ricordo del lutto subito da Nick Cave ("Abbiamo suonato "The Weeping Song" per Nick Cave e la sua famiglia / La morte di suo figlio è stata ogni giorno nella mia mente") e chiusa in forma spoken-word (una mail ricevuta da una fan inglese, questa volta piena di complimenti) e poi (prima dei 15 minuti finali di "Beautiful You", con Isaac Brock), l'apice rappresentato da "Exodus", meravigliosa, delicata, punteggiata dal pianoforte e impreziosita dalle voci di Rachel Goswell e di Alan Sparhawk e Mimi Parker dei Low). "Exodus" è una vetta miracolosa, un gospel laico carico di nostalgia e speranza, che prende spunto da alcuni avvenimenti luttuosi per mandare un messaggio d'amore. Ancora una volta, la morte del giovane Cave ("io sono molto me, e Nick Cave è così "lui", ma siamo uguali perchè siamo entrambi cantautori e non smettiamo di muoverci, come le onde nel mare"), quella di Exodus (la figlia di Mike Tyson), quella del figlio di Danielle Steel, quella di Carissa (ancora una volta), quella dei genitory di Katy (quella Katy), sono l'espediente nostalgico che permette a Kozelek di esternare il dolore ("La perdita di un figlio è qualcosa a cui nessun genitore è preparato / La perdita di un bambino è semplicemente ingiusta / Per tutti i genitori in lutto - Vi mando il mio amore"), lo stesso dolore che spesso lo porta ad avere reazioni scomposte, trasformando l'amato cantautore in uno stronzo inspiegabile. Una mutazione che abbiamo subito tutti, una volta della vita. E quasi sempre, per colpa della vita stessa.

For all bereaved parents - I send you my love

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C Commenti

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OlioCuoreNero alle 14:54 del 27 gennaio 2016 ha scritto:

A giudicare dalla pletora di amici che ha, mi viene il dubbio che gli stronzi siano il suo gommista e Grand Uccel.

fabfabfab, autore, alle 17:19 del 27 gennaio 2016 ha scritto:

Ahah è vero ci ho pensato anche io. E' anche vero che sono sempre gli stessi: Broadrick pubblica i dischi per la Caldo Verde Records di Kozelek, i Low hanno inciso due dischi sempre per la Caldo Verde con il progetto Retribution Gospel Choir... comunque sì, pochi ma buoni direi.

OlioCuoreNero alle 12:51 del 28 gennaio 2016 ha scritto:

Li ricatta, quindi... Comunque ci ho pensato: ama gli AC/DC e odia Nels Cline. E' senz'altro uno stronzo. Il disco però me lo piglio. Grazie per le belle pagine che scrivi ogni volta.

fabfabfab, autore, alle 15:23 del 28 gennaio 2016 ha scritto:

Pure Nels Cline? Non sapevo. Grazie a te.